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Andrea Beccaro

Terrorismo, Criminalità e Contrabbando

4/11/2019

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Il mese scorso avevo pubblicizzato un evento che mi vedeva in modo indiretto protagonista, ovvero la presentazione del progetto Fighting Terrorism on the Tobacco Road alla Camera dei Deputati con la partecipazione di importanti figure politiche, di alti rappresentanti delle Forze dell’Ordine e di accademici ed esperti di primo piano. Ora, invece, volevo presentarvi più nel dettaglio quel report Terrorismo, Criminalità e Contrabbando pubblicato da Rubettino. Il testo curato dall’ex Prefetto Carlo De Stefano, Elettra Santori e Italo Saverio Trento è lungo e molto articolato, il che lo rende uno strumento essenziale per comprendere sia la minaccia terroristica nello specifico sia i suoi legami con i traffici criminali.

Un elemento sicuramente importante del testo è che non solo ha molti capitoli in cui vari esperti, tra cui il sottoscritto, hanno affrontato temi specifici, ma è ricco anche di interviste, molto ben condotte e mirate, a importanti figure istituzionali italiane che riescono a offrire uno sguardo più dettagliato e informato su aspetti riguardanti il nostro Paese. Tra gli intervistati compaiono anche accademici come Renzo Guolo, sociologo dell’Islam presso l’Università di Padova, e giornalisti come Lucio Caracciolo di Limes e Fausto Biloslavo de il Giornale. A mio avviso però meritano una menzione particolare le interviste condotte con vari elementi delle nostre Forze dell’Ordine sia perché le loro parole rappresentano uno sguardo dall’interno dei problemi sia perché offrono uno spaccato importante su questioni cruciali. Tra gli intervistati troviamo il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il già Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Franco Roberti, Giovanni Nistri, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Franco Gabrielli, Capo della Polizia e Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.
In particolare quest’ultimo mette in luce alcuni aspetti importanti, come per esempio l’efficacia dell’antiterrorismo in Italia, la centralità e originalità nel panorama europeo in questo campo del CASA (Comitato di Analisi Strategica Anti-terrorismo), ma dalle sue parole emerge anche una importante tensione che riguarda le vere o presunte connessioni tra il fenomeno del terrorismo, e di quello jihadista in particolare, e della criminalità nazionale e internazionale soprattutto. Sottolineo questo punto non solo perché è oggi un elemento di studio e riflessione tra esperti molto importante, ma anche perché è un po’ il filo conduttore di tutto il lavoro che cerca di mettere in luce la natura del terrorismo del XXI secolo evidenziando proprio come sfrutti, o possa sfruttare, contatti, legami, connessioni, rotte più legati ai traffici criminali. Mentre, secondo Gabrielli, le risultanze investigative non consentono di stabilire l’esistenza di una stretta connessione tra i circuiti della criminalità organizzata e quelli del terrorismo, secondo, invece il Generale Toschi, Comandante Generale della Guardia di Finanza, i due fenomeni (terrorismo internazionale e criminalità autoctona italiana) “presentano evidenti punti di convergenza che non permettono di escludere possibili interazioni indirette” (p. 474). Infatti, parlando di questi due fenomeni è giusto notare due elementi. Primo, essi sono diversi per natura e scopi: politici per il terrorismo, economici per la criminalità. Secondo, non esistono, al momento, dati certi su una loro convergenza strategica. Ciò malgrado può esistere, e purtroppo ne abbiamo conferma in molti casi e indagini, una loro convergenza prettamente tattica, ovvero legata a quel particolare momento, caso, personaggio, prodotto. Ovvero il gruppo terroristico per sfruttare l’opportunità offerta dal momento può dedicarsi ad attività criminali, si pensi a ISIS e alla vendita di reperti archeologici o di stupefacenti per esempio, oppure può sfruttare reti e contatti criminali per i propri scopi come spostare uomini, attraverso i flussi legati al traffico di persone, o armi e altro. In un mondo progressivamente globalizzato e dove le frontiere vengono gradualmente messe in discussione, questo elemento diventa centrale e necessita di un’attenzione estrema.

Tornando, invece, ai contenuti del testo dopo un primo capitolo sulla natura, ideologia e storia dei gruppi jihadisti come al-Qaeda e ISIS, si entra più nello specifico del problema con il capitolo curato da Alessandro Locatelli e Daniela Fantozzi che si focalizza sui traffici illegali e il terrorismo. Vengono così analizzati nello specifico i singoli traffici (stupefacenti, migranti, di organi, di reperti archeologici, di armi) su scala globale offrendo dati e importanti riflessioni per meglio comprendere il fenomeno prima di analizzare la risposta europea e il finanziamento dei gruppi jihadisti sul continente.
Il terzo capitolo si apre con un mio saggio sul concetto di terrorismo ibrido che mette in luce come il fenomeno stia cambiando nel corso del XXI secolo rispetto a ciò a cui eravamo abituati nei decenni precedenti, per poi spostarsi con l’intervento di alcuni esperti, tra cui l’amico Giuseppe Dentice, sull’impatto del terrorismo in varie aree geopolitiche e in particolare i Balcani, il Medio Oriente, con un approfondimento su Hezbollah da parte di Marco Vignati, e il nord Africa, Andrea Sperini.
Il quarto capitolo mi vede ancora protagonista nel cercare di delineare brevemente i possibili scenari di sviluppo della minaccia terroristica nelle aree precedentemente ricordate, alla luce delle più recenti operazioni di contrasto a livello internazionale e delle loro conseguenze come la fine del controllo territoriale di ISIS.
Federico Sergiani e Angelo Socal si occupano, invece, di cyberterrorismo e dei canali di finanziamento che il terrorismo può sfruttare nel mondo virtuale e nel darkweb. Il sesto capitolo, curato da Agnese Moglioni, si concentra sul carcere come luogo di radicalizzazione e sugli strumenti messi in pratica in Italia per cercare di contrastare il fenomeno. Strettamente correlato al tema vi è poi il settimo capitolo di Elettra Santori che si occupa di come sviluppare un efficace percorso di de-radicalizzazione prendendo in esame in particolare il caso danese.
L’ultimo capitolo curato da Carlo De Stefano è, invece, un’interessante approfondimento sugli strumenti di indagine e le metodologie di contrasto al terrorismo in cui emerge sia l’esperienza dell’autore in queste questioni sia la centralità del ruolo del CASA nell’antiterrorismo in Italia.

Essendo un libro a cui ho direttamente partecipato non posso che consigliarne la lettura, ma bisogna sottolineare che il volume ha almeno due grandi meriti. Primo, è uno dei pochi e dei primissimi testi sul panorama italiano che si occupa, con tutte le difficoltà del caso, di analizzare nello specifico il tema della sovrapposizione tra terrorismo e criminalità internazionale. Tema centrale ma su cui anche la ricerca accademica internazionale ha, per ora, prodotto pochi risultati. Secondo, offre un quadro esaustivo non solo sul terrorismo jihadista del XXI secolo da un punto di vista sia geopolitico affrontando varie aree, sia teorico prendendo in esame traffici, collegamenti e trasformazioni; ma anche sulle operazioni italiane, sulle nostre Forze dell’Ordine e sugli strumenti italiani atti a contrastare la minaccia.

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L'importanza della Storia per lo studio della politica internazionale

4/3/2019

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Diverse volte qui nel blog e anche in altre mie pubblicazioni ho sottolineato l’importanza dello studio della Storia per la comprensione delle dinamiche politiche soprattutto a livello internazionale. La Storia resta un elemento essenziale per riuscire a inquadrare i fenomeni e metterli sotto la giusta luce e permette se non di evitare errori, quanto meno di sfuggire a facili trionfalismi o semplicistiche generalizzazioni. Purtroppo però questa tipologia di approccio non è sempre ben vista o considerata con il giusto peso, ma in questi giorni mi ha fatto piacere leggere su importanti portali americani che si occupano di questioni relative alla politica internazionale e alla guerra, articoli in cui veniva, invece, rimarcato il ruolo centrale della Storia ai fini di una più completa e strutturata analisi, oltre che come strumento utile per migliorare l’istruzione degli ufficiali dotandoli di una maggiore esperienza.
Per esempio in un lungo articolo su War on the Rocks Iskander Rehman non solo ci spiega la centralità della figura di Polibio, ma ci offre anche un serie di spunti e riflessioni su come le sue Storie possano oggi essere un utile strumento per meglio comprendere la politica internazionale e una lettura obbligatoria per chi si occupa di sicurezza nazionale. Questo perché nell’opera di Polibio si può rilevare una profonda conoscenza delle connessioni tra cultura politica domestica e politica estera, essenziali oggi come ieri per comprendere gli attori delle relazioni internazionali. Inoltre l’approccio di Polibio prende in considerazione le sfumature, la complessità e la multicausalità, elementi centrali della Politica che troppo spesso nei saggi accademici vengono lasciati in secondo piano. Polibio, quindi, parla di storia pragmatica e con ciò intende esortare il lettore ad andare oltre gli orizzonti disciplinari per ottenere una visione più completa di cosa ci sia in gioco, tenendo però presente che in storia e politica non si più avere una conoscenza perfetta ma solo idee derivante dall’intrecciarsi dei vari particolari. Il suo approccio allo studio della politica internazionale è dunque multidisciplinare e tenta di individuare elementi comuni nel tempo e nello spazio.
Un paio di giorni dopo questa interessante riflessione sempre su War on the Rocks C. Lee Shea ci porta sulla scena della grande competizione tra potenze globali. Benché dalla fine della Guerra fredda si siano riempite intere biblioteche con opere che sostengono in modo più o meno aperto e forte che la caduta del Muro di Berlino avesse posto fine alla politica di potenza e aperto la via a una nuova fase politica democratica e liberale, la realtà è che oggi l’equilibrio mondiale ruota intorno a tre potenze (Stati Uniti, Russia e Cina). È sul concetto di grandi potenze e su questi attori quindi che si deve porre la massima attenzione e indirizzare le risorse, lasciando in secondo piano nation building, controsinsorgenza e terrorismi vari. Serve tornare a focalizzare tutto l’armamentario a disposizione sulla deterrenza contro Russia e Cina con sullo sfondo il rischio di una guerra di grandi proporzioni. Serve dunque una comprensione di lungo periodo delle varie dinamiche del sistema internazionale, al fine di poter affrontare con efficacia le minacce in essere o in divenire.
Invece su The Strategy Bridge Vanya Eftimova Bellinger ci parla in modo molto dettagliato della figura di Gerhard von Scharnhorst (Bordenau, 12 novembre 1755 – Praga, 28 giugno 1813) generale prussiano che fu una figura centrale per l’educazione militare di Carl von Clausewitz, il quale apprese proprio dal suo maestro un certo modo di ragionare e di vedere la guerra. Scharnhorst fu un grande innovatore e non per nulla fondò tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo ben tre riviste dedicate al pensiero militare oltre che la Militärische Gesellschaft ovvero la Società militare a Berlino. Nei suoi insegnamenti Scharnhorst enfatizza la necessità per gli ufficiali di sviluppare le loro abilità basandosi su una solida educazione e il pensiero critico perché solo così essi sono poi in grado di affrontare la complessità della realtà e gli eventi imprevedibili. In questo contesto la Storia, e in particolare la storia militare, permette di ottenere una conoscenza più diretta e approfondita della complessità del fenomeno guerra e quindi preparare gli ufficiali a valutare con maggiore efficacia le varie situazioni. Per questo in calce all’intervento di Bellinger si trova la traduzione di un breve testo di Scharnhorst dal titolo “On Experience and Theory”.

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