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Andrea Beccaro

Terrore e terrorismo

5/17/2019

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Testi sul terrorismo oggi di certo non mancano e trovarne qualcuno che offra una visione diversa o alternativa del fenomeno è piuttosto difficile, ma Francesco Benigno, docente di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ci riesce con il suo libro Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica, Einaudi, Torino 2018.
Partendo dal titolo si possono mettere in luce tre elementi che parzialmente lo discostano dal resto della bibliografia attuale. Si parla certamente di terrorismo, ma prima di tutto si parla di terrore, parola che è la radice etimologica del primo ma che in realtà rappresenta un campo di studio molto diverso. Il terrore è un sentimento che ha un ruolo importante in politica e nel pensiero politico, ma che spesso viene ignorato quando si parla di terrorismo. Saggio storico poi ci porta a riflettere sulla metodologia impiegata per studiare il fenomeno, ovvero uno studio basato sull’evoluzione storica che pur prendendo in considerazione l’attuale situazione non si focalizza solo su quest’ultima ma amplia lo sguardo a fenomeni e contingenze diverse per delineare un quadro complesso e articolato, ma ricco di punti di contatto e suggestioni. Questo è un limite della ricerca individuato dall’autore stesso nell’introduzione in cui sostiene che “la storia è scarsamente presente nell’enorme produzione scientifica sul terrorismo” (p.xiii). In realtà non mancano testi che cercano di affrontare il problema con questa metodologia, come per esempio Martha Crenshaw, Terrorism in Context  oppure più parzialmente Bruce Hoffman, Inside Terrorism, entrambi affrontano il problema evidenziandone l’evoluzione, seppur con modi e profondità diverse, ma indubbiamente non colgono l’intera storia del fenomeno. Infine, violenza politica ci fa ulteriormente riflettere dal punto di vista metodologico perché il terrorismo non viene, direi finalmente, interpretato come un atto folle di un gruppo di disadattati o psicopatici o di persone non inserite nella società come troppo spesso gli approcci sociologici e psicologici cercano di dimostrare. Bensì il terrorismo viene, giustamente, interpretato come uno strumento politico, come un metodo per dare una particolare forma alla violenza politica. Quest’ultima può assumere vari aspetti a seconda degli attori, del grado di violenza che si vuole perpetrare, degli strumenti a disposizione e quant’altro, ma uno di questi aspetti è indubbiamente il terrorismo. Quest’ultimo si basa senza ombra di dubbio sulla forza armata, ma essa non è il suo elemento distintivo perché in realtà questo è il terrore appunto, la volontà di colpire il nemico e sconfiggerlo non militarmente sul campo di battaglia, bensì prendendo di mira il morale e terrorizzandolo al punto da incapacitarlo a reagire e a compiere le azioni dovute.
Come afferma Benigno nell’introduzione il volume cerca di rispondere a “se sia possibile individuare una tradizione culturale imperniata sull’uso politico del terrorismo” (p.xvii). La risposta che emerge dalle pagine del testo è affermativa e trova le sue radici in alcuni aspetti e riflessioni della cultura europea.
Tra i vari elementi convincenti del libro vorrei evidenziarne due. Primo, il volume mette in luce, soprattutto nei capitoli 2 e 3, il nesso cruciale, ma spesso ignorato nell’analisi del terrorismo, tra quest’ultimo e l’insorgenza. Il terrorismo è uno strumento a disposizione degli insorti che poi possono decidere o meno di usarlo, possono impiegarlo diffusamente o solo per azioni mirate, possono addottoralo come tattica a fasi alterne e via discorrendo. Ma dove si sviluppa un’insorgenza ecco che il fenomeno terroristico trova terreno fertile per essere impiegato in qualche modo da almeno una delle parti in lotta. Nella valutazione complessiva del fenomeno questo aspetto deve sempre essere tenuto in considerazione perché crea la cornice politica, sociale, strategica entro cui il terrorismo si inserisce. Troppo spesso negli studi sul terrorismo quest’ultimo diventa la cornice stessa, ma tranne in rari casi esso è un aspetto di un fenomeno conflittuale più ampio. Come sostiene giustamente Freedman il terrorismo può essere tattico o strategico, ovvero l’unico strumento di lotta, ma gruppi di questo genere sono piuttosto rari nella storia.
Sempre parlando del legame tra insorgenza e terrorismo, leggendo autori come Carlo Bianco, Giuseppe Mazzini e Karl Heinzen (tutti discussi da Benigno insieme a molti altri) si arriva alla corretta conclusione che spesso il terrorismo, come sosteneva apertamente proprio Carlo Bianco, è il primo passo dell’insorgenza, è la scintilla che può far scoppiare l’incendio. Io stesso ho analizzato nel mio lavoro su Carlo Bianco questo legame che vede il terrorismo, ovvero l’azione isolata di un manipolo di uomini, come il punto di inizio di un movimento di rivolta più ampio che può poi prendere piede o meno a seconda anche della risposta delle forze di sicurezza. Questo è un aspetto molto importante e interessante che però spesso sfugge all’analisi specifica del terrorismo, soprattutto di quello più recente.
Un secondo elemento molto interessante del testo che ci accompagna più o meno per tutte le pagine è quello di riportare autori, idee e riflessioni legate al terrorismo e non solo gruppi o descrizioni storiche delle varie campagne. Si possono così leggere le riflessioni di Lenin su rivoluzione e terrorismo, quelle di Fanon piuttosto che di altri autori sconosciuti a chi non si occupa della materia come per esempio Marighella, teorico brasiliano della guerriglia urbana, oppure Baghwati Charan con la sua Filosofia della bomba. Questo metodo di analisi applicato al terrorismo è particolarmente interessante perché da un lato mostra come il pensiero relativo sia mutato a seconda del sentire del tempo (dal terrorismo nazionalista a quello comunista, da quello anarchico a quello indipendentista), ma allo stesso modo sottolinea come rimangano fissi alcuni elementi tipici e peculiari sia nell’uso della violenza sia nella retorica.
Il libro è molto articolato e complesso, è composto da 300 pagine dense che ci conducono dalla nascita del termine terrorismo durante la Rivoluzione francese (primo capitolo), all’anarchismo russo di fine ’800 (capitolo 4). Si passa poi ad analizzare il ’900 con i legami tra terrorismo e comunismo e il fenomeno del terrorismo di stato (capitolo 5), per poi affrontare il tema della Guerra fredda e le conseguenti guerre di decolonizzazione e il concetto di guerra rivoluzionaria ben approfondito attraverso i testi francesi (capitolo 6). Il capitolo 7 affronta il tema degli anni di piombo in Italia ma non solo, affronta la questione dell’operazione Stay-behind della NATO durante la Guerra fredda che mirava a rinsaldare i governi amici democratici europei attraverso la creazioni però di un falso pericolo rosso. L’autore ricorda giustamente l’opera Tecniche della guerra rivoluzionaria che fu il frutto della riflessione italiana del tempo legata ad esponenti di spicco della destra. Infine l’ultimo capitolo prende in esame il terrorismo contemporaneo.
Tale ricostruzione storica è molto affascinante perché analizza fatti ed eventi intrecciati fra loro, ma al tempo stesso essi sono anche distanti per contesto politico ed epoca storica il che non rende semplicissimo seguire il filo conduttore del volume. E qui forse si cela il limite maggiore del testo che soprattutto in questa seconda parte si perde un po’ tra autori, fatti, conflitti molto diversi fra loro. Soprattutto in questa seconda parte campagne prettamente terroristiche (le BR in Italia o la RAF in Germania) vengono mischiate a situazioni dove il terrorismo era solo una tattica (guerra d’Algeria per esempio) e ad altre dove il gruppo terroristico era sovvenzionato e appoggiato da uno stato o dove era lo stato stesso a portare avanti campagne terroristiche più o meno coperte.
Questi fenomeni, storicamente molo complessi, rappresentano un qualcosa di diverso rispetto al terrorismo condotto da attori non statuali, benché la tattica sia la stessa e forse tale profonda diversità avrebbe dovuto essere maggiormente messa in evidenza, anche per facilitare la lettura e la comprensione a chi non è un esperto del tema.
Un testo così articolato è comunque impossibile che affronti ogni tema e aspetto con la stessa profondità, ma questo non deve diventare un freno alla lettura, perché il volume è interessante e ricco di idee, riferimenti e concetti legati al terrorismo che meritano di essere affrontati. Il libro offre uno sguardo diverso sul fenomeno terroristico toccandone elementi spesso non messi così in evidenza e affrontando tematiche, come quella dell’insorgenza, che sono cruciali per la sua comprensione.

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Ho vinto la 9° edizione del premio Cerruglio

5/9/2019

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Ieri, 8 maggio 2009, il mio ultimo libro ISIS. Storia segreta della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo, Newton Compton ha vinto la 9° edizione del premio Cerruglio. La premiazione si è svolta all’interno del Caffè Storico delle Terme Tettuccio di Montecatini Terme, una location certamente non banale e di impatto per un premio nazionale di primissimo piano. È stato un riconoscimento importante per il lavoro svolto per il libro, ma in realtà per quello che da qualche anno a questa parte porto avanti sia su ISIS sia sul problema del terrorismo in generale. La giuria, composta da esperti, ha valutato il mio lavoro complesso, il libro è indubbiamente articolato, ma proprio per questo molto valido. Una frase del presidente della giuria, Carlo Romeo, mi ha particolarmente colpito ovvero il fatto che la giuria ha sostenuto di aver avuto la consapevolezza di aver imparato qualcosa alla fine della lettura. Questo era il mio obiettivo quando iniziai la stesura del volume: cercare di far capire alcuni problemi, politici e militari, molto complessi addentrandomi nei particolari pur senza perdere di vista il quadro generale.
La giornata è stata indubbiamente molto positiva visto questo importante riconoscimento, ma è stata altresì interessante e ricca di suggestioni grazie agli altri autori presenti in concorso anche per altri premi letterari. Qui trovate l’elenco di tutti gli autori e dei loro libri che hanno preso parte a questa giornata di cultura e confronto.
Per quanto riguarda la mia categoria sono rimasto molto colpito dagli altri autori. A detta della giuria ho lottato testa a testa con Tutto cominciò a Nairobi: Come al-Qaeda è diventata la più potente rete jihadista dell’Africa di Marco Cochi, giornalista professionista esperto di Africa sub-sahariana, un testo che ripercorre in modo dettagliato lo sviluppo di Al Qaeda nel continente africano, un teatro che oggi è quanto mai centrale per comprendere la minaccia jihadista. Il male inutile. Dal Kosovo a Timor Est, dal Chiapas a Bali le testimonianze di un reporter di guerra  di Marco Lupis è invece un testo che ripercorre la vita da reporter di guerra dell’autore che ha lavorato per importanti testate nazionali. Il volume di Chiara Giannini, giornalista de Il Giornale, Come la sabbia di Herat. Memorie di viaggio di una donna in guerra raccoglie le storie dei militari italiani morti in Afghanistan, un teatro che ha portato via con sé 54 vite. Il testo è inoltre da comprare perché i proventi andranno a finanziare una lapide commemorativa di tutti i caduti che tutt’ora manca. Un premio speciale è stato poi assegnato a Valeria Giannotta, che insegna alla Business School Turk Have Kurumu di Istanbul e all’Università dell’Aeronautica di Ankara, Erdogan e il suo partito: AKP. Tra conservatorismo e riformismo che è un libro utile per capire meglio la Turchia oggi, un Paese assolutamente fondamentale per l’architettura politica del Medio Oriente.
Volevo anche segnalare il vincitore del premio Corsera, l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, La lezione strategica della grande guerra. Sogni e realtà perché è un testo completo utile per meglio capire le dinamiche strategiche del primo conflitto mondiale.
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Machiavelli

5/3/2019

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Il 03 maggio del 1439 nasceva a Firenze una delle figure più importanti per quanto riguarda il pensiero politico: Niccolò Machiavelli. Una figura centrale per la riflessione politica da una varietà di punti di vista, un autore che ha scritto pagine ancora oggi studiate in tutte le università e che ci offrono costantemente considerazioni importanti sui vari aspetti della Politica e della vita politica. Tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500 fu una figura politica importante per Firenze partecipando attivamente anche ai rapporti diplomatici con Roma, la Francia e la Germania (tra le altre). Da queste esperienze trasse varie riflessioni che confluirono sia in sue opere minori sia in esempi riportati nei suoi testi più noti e conosciuti. Nel 1512 i Medici riuscirono a riprendere il potere a Firenze e lì finì la carriera di Machievelli il quale venne incarcerato, torturato e poi liberato ma comunque escluso da incarichi pubblici. Questa fu forse la nostra fortuna poiché proprio quella situazione lo spinse a isolarsi nel suo podere dell’Albergaccio, a Sant’Andrea in Percussina, tra Firenze e San Casciano in Val di Pesa e a dedicarsi alla scrittura politica più teorica come ovviamente Il Principe (1513), I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-1519) e L’arte della guerra (1519-1520).
Machiavelli è uno dei massimi rappresentanti della scuola realista e probabilmente il primo dell’epoca moderna dopo il periodo classico greco-romano che vide in Tucidide il rappresentate più noto. Fu anche colui che influenzò profondamente il pensiero di illustri filosofi successivi che intorno alle sue idee o rileggendolo si formarono come Hobbes, Schmitt, Morghentau o cambiando orizzonte a Clausewitz. È quindi impossibile sottostimare la sua importanza e rilevanza nel quadro della riflessione politica occidentale. Gli aspetti del suo pensiero che andrebbero ricordati ed analizzati sono moltissimi, ma qui vorrei limitarmi a un paio, forse tra i meno considerati ma che reputo centrali per comprendere la politica del XXI secolo e il fenomeno guerra.
Benché all’interno della disciplina della Relazioni internazionali spesso si faccia riferimento solo ad autori del XX secolo o successivi perché la disciplina è nata ufficialmente dopo la Prima guerra mondiale, in realtà alcune correnti di pensiero hanno radici molto più lontane nel tempo. Un bel libro, in realtà un’antologia, da questo punto di vista è Chris Brown, Terry Nardin, Nicholas Rengger (edited by), International Relations in Political Thought. Texts from the Ancient Greeks to the First World War, Cambridge University Press 2012. In particolare il realismo ha padri nobili che risalgono alla Grecia classica e in questo panorama Machiavelli spicca in modo particolare. Il suo approccio alla politica non potrebbe essere più realista: “colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara piuttosto la ruina che la persevazione sua”, ovvero serve capire la realtà e adattarsi in qualche maniera e non agire basandosi su astratti principi.
Uno degli aspetti centrali della riflessione di Machiavelli è indubbiamente il ruolo della Storia e quindi conoscere il passato è il passo necessario per progettare il futuro, da qui anche il suo interesse per il passato romano che lo porterà, per esempio, a scrivere L’arte della guerra riprendendo idee tipicamente romane. Invita, inoltre, a capire lo spirito dei tempi e la natura degli uomini, poiché a seconda dei contesti la stessa azione politica ottiene risultati diversi quindi chi ha successo è colui che conosce i tempi e vi si adegua.
Dal suo studio della politica emergono alcune caratteristiche immutabili di quel mondo, ovvero: il primo e massimo compito di chi governa è difendere gli interessi del proprio Stato (l’etica politica è dunque il bene dello Stato in quanto istituzione indipendente); questo si traduce in una ricerca di sicurezza verso l’esterno che porta quindi a scontri con altre entità politiche che perseguono lo stesso scopo; ne consegue che coercizione e violenza sono connaturate alla politica che quindi è lotta per il potere. Il tema della sicurezza e della violenza armata sono centrali nella riflessione di Machiavelli perché sono elementi centrali della vita politica in sé, un aspetto questo che troppo spesso oggi viene semplicemente ignorato e che molte delle teorie più recenti delle Relazioni internazionali hanno accantonato.
Ne
Il Principe torna diverse volte sul tema della centralità della forza armata (“dove sono buone armi conviene che siano buone leggi”) sempre però sottoposta a un controllo politico delle istituzioni, lui è un grande oppositore delle milizie mercenarie che risultano essere legate più al denaro che a chi le assolda.
A
ltra famosa riflessione di Machiavelli è quella del leone e della volpe, ovvero in politica serve la forza, e serve anche saperla usare bene e con la massima determinazione possibile, ma serve anche l’ingegno, la furbizia. Entrambi questi elementi devono convivere nel Principe e devono far sì che venga garantita la sicurezza dello Stato.
Un’opera che oggi quasi non viene presa in considerazione, ma che in realtà Machiavelli riteneva essere il suo lavoro più importante è
L’arte della guerra. Sicuramente il testo pecca di originalità visto che recupera il lavoro di Vegezio e riadatta l’esempio dell’antica Roma ai suoi tempi ignorando e sottovalutando il ruolo dell’artiglieria che proprio in quegli anni si stava imponendo sui campi di battaglia europei. Però non mancano elementi di novità o quanto meno utili per comprendere meglio la natura della guerra. Secondo Machiavelli il comando deve essere dato a un’unica persona e serve coraggio, obbedienza, entusiasmo e ferocia. Un altro elemento poi lo avvicina in modo singolare a Clausewitz è che Machiavelli riconosce come in guerra il rischio, l’incertezza e i pericoli siano del tutto ineliminabili e dunque facciano parte della sua natura più profonda e immutabile (al di là quindi di qualunque ritrovato tecnologico). Inoltre la battaglia è il regno della confusione il che ha un impatto non secondario sulle prestazioni del soldato. Da qui nasce l’esigenza di un addestramento continuo e mirato. Un aspetto che potrebbe apparire banale oggi, ma che in realtà in quel contesto non lo era.
Qui non ho certamente potuto inserire tutti gli aspetti importanti, originali o cruciali della riflessione politica di Machiavelli, ma ho cercato di offrire un primo sguardo ad alcuni elementi che potrebbero farci capire meglio l’oggi e offrirci strumenti di analisi politica efficaci.
Inutile dire che su Machiavelli si possa trovare una bibliografia enorme, mi limito a ricordare alcuni titoli del tutto indicativi. Alessandro Campi ha curato un paio di volumi che leggono l’autore fiorentino da un interessante punto di vista, ovvero quello delle congiure e in un’epoca di bufale come la nostra non posso non ricordarli:
Campi, Varasano, Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo, Rubbettino 2016; Campi, Machiavelli and Political Conspiracies. The Struggle for Power in the Italian Renaissance, Routledge, New York-London, 2018 . Per quanto concerne, invece, opere più tradizionali sul suo pensiero consiglio Q. Skinner, Machiavelli, Il Mulino (purtroppo al momento fuori catalogo) e Emanuele Cutinelli-Rendina, Raffaele Ruggiero, Machiavelli, Carocci, Roma 2018.

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