Il 17 settembre una serie di droni e missili cruise di fabbricazione iraniana hanno colpito alcune installazioni petrolifere in Arabia Saudita, provocando danni e un immediato innalzamento della tensione internazionale che in quella regione è già da tempo piuttosto alta. Nel quadro di quegli eventi il giornale spagnolo La Razon ha chiesto a me e all'amico e collega Stefano Bonino un breve commento per inquadrare sia l'attacco sia la situazione in generale con le possibili ricadute. Abbiamo quindi provveduto a scrivere un breve articolo per spiegare i punti salienti della situazione politico-militare che vede coinvolte sì l'Arabia Saudita e l'Iran, ma anche Stati Uniti e vari alleati locali. Qui trovate il pezzo pubblicato il 22 settembre 2019 in spagnolo. La versione originale in inglese per chi non conoscesse lo spagnolo invece è questa.
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Con la fine della Guerra fredda gli interventi militari hanno cambiato forma e natura, certamente il rischio di una guerra su ampia scala tra grandi o medie potenze non è scomparso del tutto, ma certamente si è attenuato e ha lasciato spazio a situazioni più limitate, ma egualmente pericolose e complesse. I termini per indicare queste particolari condizioni conflittuali si sprecano da nuove guerre a LIC (Low Intensity Conflict) alla dottrina della controinsorgenza per citare quelli con un focus più marcato sugli aspetti prettamente militari, ma ce ne sono altri che descrivono situazioni parallele o successive al conflitto con una maggiore attenzione agli aspetti sociali come peace-keeping, peace-building, state-building, post-conflict operations.
Benché ci siano differenze sostanziali a livello di strategia, tattica e politica tra queste diverse definizioni, tutte condividono però un aspetto che è diventato centrale nelle guerre post-bipolari, ovvero l’impatto delle operazioni militari sui tessuti culturali di popolazioni estranee a quelle forze militari. Ciò non è una novità del XXI secolo e basterebbe guardare alla storia coloniale per rendersene conto, ma è indubbiamente oggi un tema importante e interessante seppur poco trattato dalle Relazioni internazionali e dalle scienze sociali come sostiene Paolo Quercia, docente di Studi Strategici presso l’Università di Perugia, sul numero 1/2019 di Rivista di Politica. La dimensione culturale è centrale per ogni conflitto, ma lo diventa ancora di più quando l’intervento avviene in un contesto con culture diverse da quella della forza di intervento come è appunto il caso della controinsorgenza, ma anche del peace-building o del peace-keeping. Soprattutto per situazioni di post-conflict in cui si deve ricostruire o ristrutturare l’architettura istituzionale in un determinato Paese ciò che serve non è una legittimità legale, quanto piuttosto una che deriva dalla società locale con una base etica a essa legata. Un’operazione di questo genere ha dunque successo solo se viene costruita “a partire, e non in contraddizione, dalle gerarchie, valori, i costumi e le strutture sociali esistenti prima dell’intervento militare”. Il problema è che questo approccio più culturale al momento è poco presente se non a livello puramente tattico e ciò ci deve portare a riflettere lungo due diverse vie. Primo, questo aspetto è centrale nelle operazioni militari del XXI secolo e quindi merita uno spazio di riflessione e ricerca importante con poi ricadute anche pratiche e quindi la possibilità di integrazione tra componente civile e militare, ciò che in ambito NATO in parte porta avanti il CiMiC, Civil-Military Cooperation. Secondo, questo aspetto è particolarmente rilevante per il nostro Paese visto che le Forze Armate italiane sono costantemente impegnate all’estero: dall’Iraq all’Afghanistan fino ad arrivare al Libano. Non sono solito leggere biografie, ma in questo caso ero molto curioso di affrontare il testo e godermelo fino alla fine per due motivi. Pur essendo una biografia, per me era come leggere e conoscere meglio un autore e un’opera che considero fondamentale per capire la natura della guerra. Secondariamente, il testo mi ha riportato in luoghi che ho visitato e vissuto e che quindi hanno fatto riemergere nella mia mente vivi e piacevoli ricordi.
Il libro di cui vi voglio parlare è Marie von Clausewitz: The Woman Behind the Making of On War di Vanya Eftimova Bellinger, un testo molto interessante che affronta un tema del tutto originale, ovvero la figura di Marie von Brühl, moglie del generale prussiano Carl von Clausewitz il più noto pensatore sulla guerra. Il tema diventa veramente centrale dal momento che la figura che emerge dalle pagine del libro ha chiaramente un carattere e una statura intellettuale importante con un ruolo non secondario nella stesura dell’opera principale di Clausewitz, il Vom Kriege, oltre che, come noto, nella sua pubblicazione postuma dopo la morte prematura dell’autore. Marie von Brühl nacque nel 1779 da una nobile famiglia originaria della Turingia ma con forti legami con le terre prussiane orientali, ora in Polonia, e con la corte di Dresda. Era, quindi, a tutti gli effetti una nobildonna del tempo con tutto ciò che ne consegue, ovvero ottima educazione (anche relativamente alle lingue visto che parlava fluentemente l’inglese per via di alcuni legami famigliari) e ottime entrature anche nella corte di Berlino che frequenterà assiduamente fino alla morte sopraggiunta nel 1836. Questo aspetto mette subito in luce una profonda differenza tra lei e il marito, poiché Clausewitz, originario della cittadina di Burg, era sì un nobile ma era un titolo che aveva ottenuto suo padre per vie burocratiche e che andava confermato (cosa che avvenne negli anni successivi anche per merito dell’intercessione di Marie). Il divario sociale tra i due era quindi notevole, la madre di lei, per esempio, all’inizio non approvò la relazione. Il diverso lignaggio ebbe ripercussioni poi anche sul diverso grado di educazione, Clausewitz era certamente un uomo colto e che amava leggere, ma la preparazione di cui godette Marie era superiore per ciò che concerne sia le lingue sia i modi e i comportamenti nelle lettere ufficiali piuttosto che a corte. L’autrice riesce a creare una vivida immagine della coppia grazie a due aspetti. Primo, utilizza l’epistolario di Marie ritrovato qualche anno fa e ciò le permette di avere a disposizione diverso materiale inedito in grado di gettare luce su aspetti nuovi o poco conosciuti. Pur non essendo un epistolario completo, e con il grande limite di non coprire tutti quei periodi in cui la coppia, vivendo insieme, non aveva necessità di scriversi, resta una fonte fondamentale per capire meglio la personalità di Clausewitz, le dinamiche di coppia, così come i loro interessi. Dalle lettere emerge chiaramente come la coppia condividesse importanti interessi politici e come Marie sia stata un elemento importante per la carriera di Carl spronandolo e cercando appoggi tra i suoi contatti a corte. Lei lo ha sempre appoggiato nelle sue scelte che spesso lo portavano lontano per via della carriera militare e questo ha rinsaldato sempre più il legame tra loro. Anche la scelta di Carl di raggiungere l’esercito russo e combattere contro Napoleone, quando la Prussia invece si alleò con il francese, fu sofferta ma condivisa perché entrambi condividevano la stessa visione politica nazionalista prussiana in netta contrapposizione con il piano egemonico di Bonaparte. La visione politica dei due è molto simile ed emerge costantemente nelle lettere. Il libro ne segue le tracce nel quadro di quegli anni burrascosi che fu l’inizio dell’800 con le guerre napoleoniche la disfatta di Jena (14 ottobre 1806), la sconfitta e l’umiliazione prussiana che scossero gli animi della coppia (che in quel periodo non era ancora sposata, il matrimonio venne celebrato il 17 dicembre 1810 a Berlino presso la Marienkirche visitabile ancora oggi in pieno centro). Questo permette all’autrice di ricostruire in modo preciso le vicende della Prussia, e in genere dell’Europa di quegli anni, inserendovi quindi la maturazione delle idee politico-strategiche di Clausewitz oltre che ovviamente le vicende amorose dei due. Il secondo aspetto importante è che l’autrice, che ha ripercorso i luoghi della coppia (dalla cittadina natale di Burg fino a Berlino) è che inserisce quella coppia, sicuramente particolare già all’epoca (per il divario sociale tra i due, ma anche per la particolare personalità di Marie), nel dibattito politico della Prussia facendo emergere i contatti con vari personaggi di spicco dello schieramento anti-napoleonico, ma soprattutto le forti e ampie riflessioni politiche che i due erano sicuramente impegnati a fare tra loro, ma anche nei salotti bene della nobiltà prussiana. Marie appare quindi una donna sui generis rispetto all’immagine della classica nobildonna di inizio Ottocento perché era sì colta, ma aveva maturato un vivo e attivo interesse per la politica, un fatto certamente non comune (come a volte mette in luce l’autrice). Era inoltre impegnata in prima persona in quei dibattiti, ma anche nella vita militare sia per seguire il marito sia per scelta personale. Infatti, è significato il passaggio del testo in cui si ricostruisce il periodo in cui Marie per cercare di rimanere più vicina a Carl, impegnato nelle campagne belliche, e di essere di aiuto nello sforzo bellico prussiano scende in campo in prima persona. Ovviamente non imbracciando un arma, ma occupandosi dei feriti (per esempio durante l’assedio della cittadella di Spandau a Berlino, altro luogo che consiglio vivamente di visitare) e collaborando, dalle lettere non è chiaro in che ruolo, con il locale ospedale militare. Se da un lato all’epoca era relativamente normale che le mogli degli ufficiali seguissero in mariti, dall’altro è chiaro come non fosse normale per una donna che frequentava quotidianamente il re e la corte trovarsi a svolgere mansioni simili a un infermeria da campo. Marie dunque era sicuramente una donna diversa dalle sue contemporanee e lo dimostra poi ancora una volta dopo la morte del marito, avvenuta improvvisamente per colpa di un’epidemia di colera nel 1831, quando prende in mano il manoscritto del Vom Kriege e le altre opere di Carl per sistemarle e mandarle in stampa. Lei aveva sempre spinto il marito sia verso la carriera militare sia nella stesura dell’opera. Dalle lettere emerge chiaramente il coinvolgimento di Marie in alcune riflessioni di Carl così come il suo sosteno morale per continuare a scrivere. Marie, quindi, conosceva bene sia l’opera sia il pensiero del marito e si trovò a dover completare in qualche modo il lavoro. Purtroppo anche lei morirà presto, nel 1836, e non riuscirà a vedere l’intera opera pubblicata, ma quella che noi oggi leggiamo è quella riassemblata da Marie partendo dai fogli di Carl. Insomma il libro di Vanya Eftimova Bellinger è sicuramente originale per il tema trattato, interessante da un punto di vista storico, poiché ricostruisce le vicende della Prussia del primo Ottocento e cruciale per chi vuole studiare con maggiore profondità la vita e il lavoro di Clausewitz. |
Andrea Beccaro Blog
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March 2020
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