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Andrea Beccaro

Le guerre e la scuola in Italia

11/30/2019

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Qualche giorno fa ho ricevuto l’abituale newsletter dello IAI con gli ultimi articoli pubblicati, è un modo per approfondire tematiche internazionali che non rientrano perfettamente nel mio ambito di ricerca. E nella suddetta mail ho trovato l’articolo di Emmanuela Banfo il cui titolo, “Religione: una Terza Guerra Mondiale fatta di 380 conflitti”, mi ha subito colpito perché la religione, nel quadro dell’attuale geopolitica o dei conflitti moderni, è un tema che tocca da vicino le mie ricerche. La lettura dell’articolo, però, mi ha portato a riflettere in una direzione completamente diversa, perché in un passaggio si cita una ricerca della Caritas secondo la quale su “un campione significativo [della popolazione italiana] intervistato a proposito delle guerre, si evidenzia che gli italiani non sanno quasi nulla: nessuna guerra nel continente africano è conosciuta da più del 3% – fa eccezione quella in Siria, menzionata dal 52%. [...] E ancora più allarmante è che su 1.782 studenti di 58 classi di terza media di 45 istituti sparsi su tutto il territorio nazionale, il 39,3% non è stato in grado di indicare neanche una guerra degli ultimi cinque anni.”
Certamente, per chi come me, si occupa di politica internazionale e di conflitti tutto ciò non è una novità, però il dato è a dir poco allarmante. Come mostrano le foto che trovate in fondo a questo articolo, il nostro Paese, e tutta l’Europa, è circondato da conflitti di vario genere e natura con implicazioni molto diverse fra loro. Siamo dunque uno Stato in prima linea rispetto alla violenza internazionale che può prendere varie forme. Malgrado questa situazione il 40% degli studenti non è in grado di identificare una singola guerra degli ultimi 5 anni, in cui è bene ricordarlo si è combattuto in Afghanistan (dove sono dislocati anche nostri militari), in Libia (Tripoli, Haftar, il problema del flusso irregolare di immigrati non vi ricorda nulla?), Siria (intervento russo, Assad, Afrin, Turchia, non vi suonano?), Iraq (la lotta con lo Stato Islamico mai sentita?Senza dimenticare il recente incidente che ha coinvolto i nostri militari), Ucraina (Russia, Nato?), Mali, Niger, Somalia, Yemen e si potrebbe continuare.
Questo aspetto mette in luce tre elementi. Primo, l’Italia deve affrontare una situazione alquanto instabile a livello internazionale con un sistema di equilibrio che sta conoscendo una forte e profonda ristrutturazione e che di conseguenza condurrà a rivedere alleanze storiche. Come è possibile ripensare il ruolo dell’Italia in tale contesto se la conoscenza di quest’ultimo è pressoché nulla? Secondo, purtroppo i media italiani non aiutano sulle questioni internazionali perché la copertura è nella migliore delle ipotesi scarsa, superficiale ed esclusivamente legata a fatti contingenti, ovvero succede qualcosa, possibilmente di molto grave, allora si fa il servizio altrimenti niente. Inoltre, in questo modo il servizio in questione viene spesso affidato a giornalisti che non conoscono il teatro e il quadro più generale per cui ci si limita a fornire alcune informazioni (quanto poi verificate e veritiere?) sul particolare evento lasciando perdere tutto il resto, ovvero situazione politica, strategica, forze in campo, sponsor internazionali, quadro politico internazionale e regionale, interessi degli attori in campo. Tutti elementi fondamentali per comprendere una situazione, ma che vengono puntualmente dimenticati rendendo quindi la comprensione di una situazione conflittuale del tutto impossibile o puramente superficiale e legata alla contingenza del momento. Questo porta a due conseguenze. Da un lato al cittadino non viene offerto un quadro della situazione e dunque non viene debitamente informato a meno che lui o lei non decida poi di cercare maggiori informazioni (ma chi lo fa? E soprattutto che genere di informazioni può trovare?); dall’altro lato, non viene abituato ad analisi approfondite, ma viene educato a riflessioni superficiali, banali e spesso slegate dalla situazione più generale.
E qui si innesta il terzo problema, messo già ben in luce dai dati dell’articolo di Emanuela Banfo, quello della scuola. Come è possibile che il 40% dei ragazzi non sappia citare un singolo conflitto degli ultimi 5 anni, quando il nostro Paese, come detto, è circondato da forme di violenza armata ed è impiegato in modo diretto in molti di loro (Afghanistan, Iraq, Libia per citare solo i più noti)? Possibile che la scuola abbia abdicato in modo così drammatico il suo compito di istruire ed educare gli studenti insegnando loro anche le forme e nozioni minime e basiche del mondo che ci circonda? La risposta purtroppo è sì e questo è gravissimo perché i giovani di oggi sono la futura classe dirigente e attualmente la scuola non fornisce loro gli strumenti adatti a comprende il mondo, servirebbe rivedere profondamente i programmi e integrarli con approfondimenti specifici diretti sia a studenti che a insegnanti, ma, anche per esperienza personale, manca sia lo volontà (non sempre ma spesso soprattutto su determinati temi) sia i finanziamenti adeguati (sempre).

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Difesa e sicurezza. Prevenire il radicalismo per contrastare il terrorismo

11/29/2019

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Lunedì 2 dicembre sono stato invitato a discutere di radicalizzazione e contrasto al terrorismo nel quadro della conferenza “Difesa e sicurezza. Prevenire il radicalismo per contrastare il terrorismo” organizzata dall’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Contrasto Terrorismo (ReaCT) un tavolo tecnico accademico che si prefigge lo scopo di riunire competenze professionali e operative con la ricerca e lo studio sul campo e che mira dunque a promuovere ricerche attorno al tema del terrorismo.
Nel mio intervento metterò in luce la natura peculiare del terrorismo contemporaneo, e in particolare di ISIS, individuando inoltre quegli elementi che rendono quel gruppo, ma più in generale le milizie islamiche, particolarmente resiliente. Prenderanno parte all’incontro molti membri delle istituzioni, esperti e studiosi, come potete vedere nel programma allegato, e sarà sicuramente un modo proficuo di mettere a confronto diverse professionalità sullo stesso tema. Sarà anche un’occasione importante per avere più punti di vista sia sul tema della radicalizzazione sia su quello della minaccia terroristica.
L'evento ha inoltre il patrocinio del Ministero della Difesa e della Regione Piemonte. Per partecipare serve però iscriversi qui.


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Il Medio Oriente e l'Iran

11/26/2019

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In questi giorni stiamo assistendo a una serie di proteste in vari Paesi ma che hanno un denominatore comune, l'Iran. Fin da ottobre in Libano e in Iraq si sono registrati scontri tra manifestanti e forze di sicurezza che, soprattutto in Iraq, hanno causato più di 300 morti e che rischiano di detabilizzare ulteriormente una regione già instabile. Più recentemente sono scoppiate anche manifestazioni all'interno dell'Iran che inserite in questo quadro regionale danno un'immagine alquanto preoccupante della regione. Il giornale spagnolo La Razon ha chiesto a me e all'amico e collega Stefano Bonino un breve commento su queste situazione. Qui trovate la versione in spagnolo pubblicata sull'edizone cartacea di domenica 24 novembre, mentre qui trovate l'originale in inglese.
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Schelling as Strategic Thinker

11/13/2019

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A month ago I was asked to introduce who I thought of as the most important 20th and 21st century strategic thinker. Answering that question has not been simple, however, I liked my answer and I was proud of it so I decided to write and share it.
The question “who is the most important 20th and 21st century strategic thinker” is a very interesting and complex one that needs a very articulate answer. When I started to think about the answer I realized how rich has been the 20th century in terms of strategic thinker, ideas, and innovations.
My first idea was to opt for one of the several authors who wrote about irregular warfare, insurgency, and guerilla warfare. Lawrence of Arabia, Mao Tse Tung, or one thinker related to the debate on counterinsurgency such as Roger Trinquier or David Galula because all of them have an enduring legacy today in the debate on modern COIN. Then I thought of Liddell Hart and his indirect approach because he stressed both the psychological element of conflict and the fact that in strategy, the longest way round is often the shortest way home.
A third idea was to speak about the air power, mentioning authors such as Giulio Duhet, William Mitchell or John Boyd, because surely the air power was one of the most relevant strategic and military innovations in the 20th century with a huge impact on war and warfare. Then, I was thinking of Bernard Brodie because he was an initial architect of nuclear deterrence strategy, tried to find out the role and value of nuclear weapons and was one of the first strategic thinker to recognize the role and impact of missile.
However, I decided in favour of Thomas Schelling for several reasons. First of all, in contrast to the aforementioned thinkers, he was one of the best academic of his time in fact he was also awarded the 2005 Nobel Prize in Economic Sciences. Even though his works on strategy, conflicts, diplomacy were focused on nuclear strategy and tailored for the cold war, they are timeless.
Schelling broadened the concept of military strategy from the science of military victory to the art of coercion, of intimidation and deterrence. To be coercive or deter another state, violence must be anticipated and avoidable by accommodation. He delved into the notion of conflict not limiting its meaning to the defeat of your opponent. Instead, one must seize opportunities to cooperate. Because only in the rare occasion of a “pure conflict”, are the interests of participants relentlessly opposed. However, cooperation may take many forms, and thus could potentially involve everything from deterrence, limited war, and disarmament to negotiation.
Schelling’s ideas on deterrence, conflicts, and strategy were not only original, but they were, and still are, also crucial to better understand the complexity of war itself. For instance, he did not expect escalation to develop as a result of deliberate steps taken by calculating governments fully aware of the consequences of their actions. On the contrary, “Violence, especially in war, is a confused and uncertain activity, highly unpredictable depending on decisions taken by fallible human beings organized into imperfect governments depending on fallible communications and warning systems and on the untested performance of people and equipment”.
Consequently, Schelling was able to think in a very scientific and systematic way, but he never lost contact with the reality of war. In this aspect he shared a common view with Clausewitz on the nature of war in which human dimension, chance, friction and fog of war play a crucial role and have an unavoidable impact on war, military operations and victory.
Another Schelling’s central idea is that an interplay of motives between adversaries exists and so he stressed the role of communication, understandings, compromise, and restraint. Communication between opponents can take two forms: verbal or written communication is known as “explicit”; action-based communication and involves the use of violence to indicate to an adversary that the costs of not agreeing to an opponent’s political demands will outweigh the costs of concession.
With this ideas, Schelling underlined that war is a reactive environment. Clausewitz explained: “War is not the action of a living force upon a lifeless mass but always a collision of two living forces”. Moreover, Clausewitz described war as a duel and as an interplay of two different wills. Clausewitz and Schelling also share the core idea of escalation because it was the Prussian General who conceptualized war as tending towards absolutes in the framing of the distinction between absolute and limited war. Furthermore, Schelling was aware that, with enough military force, a country may not need to bargain because it can reach its goal using the sole military force because the adversary is too weak to stand. The problem here lies in what enough means, because it depends on the interplay between actors. Enough could be one armoured division against one adversary, but against another adversary an entire nuclear arsenal could not be enough.
Therefore, Schelling was able to link his strategic theory with the historical evolution of military strategy, but also to innovate and broaden it. In his strategic thinking it was always clear the role of politics, as in Clausewitz, so the idea that conflicts are not something else from politics but that they are correlated.
However, the importance of Schelling’s ideas is not limited to those aforementioned, because his idea on deterrence, bargain, on use of coercion and coercive force are now used to explain terrorism and irregular conflicts. This makes Schelling a central strategic thinker even in the new security environment of 21st century.
For example, Neumann and Smith in The Strategy of Terrorism use Schelling’s ideas to describe terrorism and how it works from a strategic point of view. In particular, Schelling thinking on the possibilities of waging “limited war” in the nuclear age facilitates a deeper understanding into the persuasive intentions that govern the rationale behind most forms of terrorism. Schelling drew a distinction between the passive forms of terrorism implied in theories of deterrence, from compellence, by which he meant inducing a person to do something through fear, anxiety and doubt. Without doubt, terrorism is a strategy of compellence. It is aimed at persuading the target to do something in your favour. Moreover, they argue that the credibility of the terrorism’s threat relies on the ability and willingness to escalate. However, the ability to escalate into the extreme is bound by limited resources on the part of the terrorists. The only logical extension of the struggle is to extend the level of indiscrimination.
A second example on how Schelling is central in the 21st century strategic thinking is the concept of “grey zone warfare”  that is a relatively new strategic notion that describes sequences of gradual steps used by revisionist powers to secure strategic leverage. Tools of this strategy are unconventional techniques—from cyberattacks to information campaigns to energy diplomacy. They maneuver in the ambiguous no-man’s-land between peace and war. This is clearly a gradualist strategy closely analogous to the “salami-slicing” strategy discussed in Thomas Schelling’s classic work, Arms and Influence. https://www.amazon.it/Arms-Influence-Thomas-C-Schelling/dp/0300143370 Aggressors can thus use “tactics of erosion,” testing the seriousness of a commitment, pretending the violation was unauthorized if one meets resistance. If the defender fails to respond resolutely, the aggressor has set a precedent, and then moves rapidly on to the next step in the series. The point of such tactics, in Schelling’s model, is very specific: to degrade the credibility of the defender’s deterrent threats. These strategic ideas related to the grey zone warfare are relevant in order to study the strategy and foreign policy of important Westerner competitors such as Russia, China and Iran.
In sum, Schelling developed his strategic thinking during the Cold War and focusing on nuclear weapons and strategy, but at the same time he was able to link his ideas to the broad strategic history remaining valid till today.


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30 anni dalla caduta del Muro di Berlino

11/9/2019

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Il 9 novembre di 30 anni fa cadeva il Muro di Berlino in modo quasi parossistico e del tutto inaspettato visto che la folla che si radunò quella sera da una parte e l’altra della Porta di Brandeburgo e presso i pochi valichi di passaggio era lì perché la conferenza stampa di Günter Schabowski, rappresentante del Politburo della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, il partito unico che governava la DDR), annunciava nuove possibilità di viaggio verso ovest per i cittadini tedesco orientali. Alla domanda di un giornalista che chiedeva quando sarebbero entrate in vigore queste nuove regole, Schabowski andò in confusione e rispose ab sofort ovvero da subito. Quell’ab sofort segnò in modo evidente la fine di un epoca e il crollo del Muro. Malgrado nei quasi trent’anni della sua esistenza le guardie di frontiera comuniste avessero ucciso diverse persone che tentarono di superarlo, quel giorno non ci fu spargimento di sangue, anche per via, probabilmente, dell’enorme massa di persone che si era radunata e di conseguenza le guardie, pur non avendo ricevuto ordini al riguardo, decisero di aprire i check-point proprio per evitare violenze.
Il Muro di Berlino fu senza ombra di dubbio il simbolo più noto e concreto della Guerra fredda, della divisione del mondo in due blocchi contrapposti (gli Stati Uniti guidati dall’idea di democrazia e di economia di mercato e l’Unione Sovietica basata sull’ideologia socialista e su un economia di stato) e della divisione della stessa Europa risultato della Seconda Guerra Mondiale. Malgrado ciò il Muro venne eretto solo il 13 agosto del 1961 (qui un video che riprende la fuga da Bernauer Strasse) e aveva uno scopo ben preciso: arrestare in modo sistematico l’emorragia di fughe da parte di cittadini della DDR verso la Germania Ovest. Un’emigrazione di massa che coinvolse centinaia di migliaia di giovani e non solo, spesso persone con un’alta formazione come ingegneri, medici, insegnanti. La DDR doveva bloccare quel flusso onde evitare di perdere un parte consistente della sua classe media. La Berlino divisa in due rappresentava il punto di passaggio più semplice e scontato e andava chiuso. Il Muro, quindi, non serviva a tenere fuori la minaccia fascista, come la denominazione ideologica della DDR di antifaschistischer Schutzwall, ovvero la barriera protettiva antifascista, voleva far intendere, bensì a tenere dentro chi per ragioni ideologiche, sociali o di opportunità lavorative voleva uscire (questo è un video in tedesco che ricostruisce la struttura del Muro). In sostanza era un muro di una prigione, non un muro difensivo verso una minaccia esterna, come sono la totalità dei muri eretti nella storia a difesa di una comunità.
L
’opposizione interna al regime dittatoriale della SED si era già manifestata nel giugno del 1953 e fu repressa nel sangue grazie ai carri armati sovietici, da lì il governo centrale potenziò la Stasi che nel corso degli anni non solo divenne la polizia segreta più invasiva al mondo (si calcola che avesse un informatore ogni 50/60 abitanti), ma anche lo strumento di controllo e repressione di maggior efficacia per controllare la popolazione. Uno strumento sicuramente in grado di fare il proprio mestiere, anche all’estero, tanto che, malgrado i problemi economici e sociali, la creazione del Muro e le proteste di Praga nel 1968, nella DDR non si registrarono eventi di protesta consistenti.
L
a DDR era un regime totalitario nonostante oggi alcuni tedeschi orientali rimpiangano alcuni suoi aspetti. Per prima cosa quasi non esisteva disoccupazione visto che lo Stato controllava ogni aspetto dell’economia e alcuni servizi alla popolazione erano molto avanzati (per esempio gli asili nido erano numerosissimi e a completa disposizione dei cittadini, una tendenza che sebbene ridotta è ancora presente nei Länder tedesco-orientali se paragonati ai loro omologhi occidentali). Il rovescio della medaglia era che le elezioni erano una farsa in cui chi votava non aveva la reale possibilità di scelta oltre a non essere un voto segreto, l’economia, malgrado fosse la migliore di quelle del blocco comunista, arrancava decisamente, mancavano servizi banali (il telefono in tutte le case per esempio era un lusso ancora negli anni ‘80) e la popolazione non poteva viaggiare, ovvero non poteva ricongiungersi con i parenti all’ovest.
Tutte queste, e molte altre ragioni, portarono alla fine degli anni ‘80 alla nascita del Neues Forum, un movimento di protesta pacifica che aveva come obiettivo quello di riformare la DDR
dall’interno. L’estate del 1989 vide aprirsi la cortina di ferro nel confine tra Austria e Ungheria dove passarono diversi cittadini tedesco orientali che sempre in quei mesi presero d’assalto anche l’ambasciata tedesco occidentale a Praga nel tentativo di fuggire dalla DDR. I dirigenti politici della SED guidati da Erich Honecker erano a conoscenza non solo di questo forte malcontento, ma anche che la situazione economica del Paese fosse disastrosa, poiché già negli anni precedenti avevano barattato con il governo di Bonn lo scambio di prigionieri politici con somme di valuta forte occidentale per cercare di tamponare la situazione. Malgrado tutto ciò la classe dirigente non fece nulla e il 7 ottobre 1989 festeggiò a Berlino i 40 anni dalla nascita della DDR. Era l’occasione per una grande parata a cui partecipò anche Michail Gorbaciov il quale venne accolto dalla popolazione al grido di “Helfen uns”, ci aiuti. Il gruppo dirigente ignorò questo segnale così come l’invito del leader sovietico a portare avanti le riforme, così le proteste di piazza aumentarono e i lunedì di quei mesi a Lipsia (in particolare intorno alla Nikolaikirche) divennero i centri focali del movimento di riforma.
La valanga era iniziata e i responsabili politici non riuscirono a fermarla
ne a rallentarla vista la gestione della conferenza stampa di Schabowski. A meno di un anno di distanza dal crollo del Muro, il 3 ottobre 1990, le due Germanie venivano riunite e iniziava un nuovo capitolo della storia.
Un capitolo nuovo per la storia della Germania in cui ancora oggi, malgrado indubbi passi avanti, la frattura tra i due vecchi paesi è ancora evidente. Ad esempio l’ovest ha un tasso di disoccupazione molto più basso rispetto a quello dei
Länder orientali dove, tra le altre cose, trovano terreno più fertile rispetto a ovest anche i partiti più estremisti. Un capitolo di storia nuovo anche per l’Europa che da quella riunificazione in poi ha conosciuto un percorso di crescita e di ampliamento tutt’ora in corso, impensabile con le regole della Guerra fredda, che oggi porta la NATO e l’EU a scontrarsi in modo forte e pericoloso contro l’orso russo. Ma anche e soprattutto un capitolo nuovo per la politica internazionale. Non ci sono dubbi che la Guerra fredda sarebbe finita, o forse era già finita come sostengono alcuni interpretando i trattati tra USA e URSS sui missili balistici degli anni ’80 come il vero momento in cui Mosca accettò la sconfitta ammettendo tra le righe di non poter tener testa alla potenza nucleare americana. Ma la caduta del Muro con tutto il suo significato storico e l’impatto massmediatico che già all’epoca, pur in assenza della televisione satellitare e di canali all-news come siamo abituati oggi, riuscì ad avere rappresenta senza ombra di dubbio l’emblema della fine di epoca. Nel dicembre del 1991 crollava poi definitivamente l’URSS e la politica globale non era più soggetta alle leggi ferree, ma anche così confortevoli, della Guerra fredda. Iniziava in sordina un rivolgimento degli equilibri planetari divenuto poi palese e più violento con l’inizio del nuovo secolo. Il mondo e i suoi equilibri politici non erano più bloccati dallo scontro delle due grandi potenze, ma le forze in gioco potevano sprigionarsi più o meno liberamente.
Ricordare la caduta del Muro significa quindi non solo celebrare la fine di una
dittatura, ma anche rendersi pienamente conto del mondo politico in cui viviamo oggi con le sue nuove dinamiche che inoltre stanno radicalmente alterando la carta geografica a cui ci eravamo abituati. È una consapevolezza che dobbiamo imparare a maturare e che proprio la frattura avvenuta tra il 1989 e il 1991 ci insegna a guardare e accettare. Ma le dinamiche che portarono al 9 novembre 1989 devono anche insegnarci che le istituzioni politiche nascono e muoiono e che ciò avviene soprattutto quando esse non sono in grado di rispondere ai bisogni che la popolazione sente necessari in quella particolare congiuntura storica. La DDR annaspava almeno da un paio di decenni in un’economia inefficace e assolutamente non all’altezza, i prodotti anche alimentari erano carenti (nelle zone rurali era diffuso l’impiego del baratto per sopperire alle mancanze), il disagio sociale era elevato, la voglia dei cittadini di abbandonare il Paese molto forte e chi non coltivava questo sentimento spesso si impegnava nei movimenti di riforma come il Neues Forum. La dirigenza politica semplicemente ignorò questi segnali ripetendo a pappagallo quello che prescriveva l’ideale socialista non capendo che così condannava il Paese e se stessa.

Letture consigliate

Qui non voglio indicare opere a carattere storico sulla caduta del Muro o sulla Germania Est o sul periodo della Guerra Fredda, voglio, invece, segnalare alcuni lavori di vario genere che aiutano a mettere in luce qualche punto e aspetto legati al Muro e alla data di svolta del 1989.
Danilo Breschi,
Professore associato di Storia del Pensiero Politico presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Internazionali di Roma, ha pubblicato una doppia e bella riflessione sul suo sito personale in cui mette in luce, anche grazie a un’analisi di recenti libri sull’argomento, come la caduta del Muro provocò un’ondata di ottimismo ed euforia che in vari modi ha poi condizionato, in modo non certo positivo, la visione politica europea negli anni a venire e gli sviluppi europei successivi.

Consiglio poi alcune letture profondamente diverse fra loro, ma che possono dare un quadro d’insieme efficace di ciò che fu la dittatura socialista della DDR nel XX secolo.
Uwe Tellkamp,
La Torre. Storia di una moderna Atlantide è un romanzo che racconta le vicissitudini di una famiglia tedesco orientale negli anni ’80. È un utile, efficace e accurato sguardo alla società della DDR con tutte le sue paure, la repressione della Stasi, il controllo del governo, il ruolo della propaganda, la voglia di cambiamento con però tutti i rischi connessi. Qui trovate una recensione più completa.
Ben Lewis,
Falce e sberleffo. Una storia del comunismo attraverso la satira. Ovvero: le barzellette che hanno fatto crollare il Muro, è un testo, invece, che guarda a tutto il mondo comunista dell’epoca e ricostruisce la repressione rossa attraverso le barzellette che ci si raccontava di nascosto, ovviamente, perché la polizia segreta era in agguato. Ne ho parlato sempre sul io blog alcuni giorni fa.
Un altro testo interessante per capire i meccanismi intern
i della repressione è C’era una volta la DDR (Feltrinelli, 2015). Una via di mezzo tra il romanzo e la ricostruzione storica. Un viaggio nella DDR e in particolare nel ruolo della Stasi in quella società (non per niente il titolo, ben più centrato, dell’edizione originale è Stasiland). Costruito intorno a diverse interviste (con ex ufficiali della Stasi, ex giornalisti della DDR, ex perseguitati e simili) è un bellissimo viaggio all’interno del “fantastico” mondo del comunismo reale.
Parlando invece di musica non si possono non ricordare, oltre al cosiddetto OstRock, ovvero il rock di gruppi della Germani Est, almeno due pezzi: il celebre Wind of change degli Scorpion, band tedesca che si ispirò a quei mutamenti politici per scrivere la canzone, e The Wall dei Pink Floyd, concerto del 1990 in quella che poi è tornata a essere Potsdamer Platz.
A livello di filmografia si potrebbe scrivere un saggio a parte per
trattare tutti i film o documentari che nel corso degli anni hanno descritto il Muro, il suo crollo, il suo ruolo politico e la vita di quegli anni. Mi limito però a tre pellicole molto diverse fra loro, ma al contempo complementari. Le vite degli altri è un film del 2006 di Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero. La pellicola mostra chiaramente gli strumenti di controllo e spionaggio verso la propria popolazione della DDR tramite la Stasi, qui un piccolo assaggio.
Good Bye Lenin! è un film del 2003 di Wolfgang Becker, un film leggero per sdrammatizzare lo shock post caduta visto che narra la storia di una famiglia proprio a cavallo degli eventi del ’89 con gli enormi cambiamenti politici, sociali ed economici seguiti a quel novembre.
Il ponte delle spie
è un film del 2015 diretto da Steven Spielberg con protagonista Tom Hanks. Il film, ambientato durante gli anni della Guerra fredda, narra il caso dell’arresto e del processo con conseguente condanna di una spia sovietica, per poi raccontare la trattativa e lo scambio di Abel con Francis Gary Powers, pilota di un aereo-spia americano abbattuto sui cieli sovietici. La pellicola non tratta direttamente il Muro, ma ha scene ambientate nella Berlino di quegli anni e offre uno sguardo sui problemi e sulla situazione tra le due Super potenze. Inoltre, il titolo deriva dal luogo dello scambio tra le due spie, ovvero il Ponte di Glienicke nei pressi di Potsdam, altro luogo simbolo della separazione della città e della Guerra fredda.

Le foto allegate qui sotto sono state scattate da me a Bernauer Strasse.


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Intervista su Siria e Iraq

11/8/2019

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Sull'edizione odierna del Corriere del Ticino, è uscita una mia breve intervista in cui cerco di delineare l'attuale e intricata situazione del Medio Oriente e in particolare di Siria e Iraq. Se da un lato la Siria sembra stabilizzarsi grazie alla presenza russa e malgrado l'intervento turco che di certo non mancherà di creare problemi in futuro, la situazione più preoccupante credo che sia quella irachena alla luce delle continue proteste che perdurano ormai da settimane e che mettono in luce non solo le gravi mancanze del governo, ma anche una ulteriore spaccatura interna.
Qui trovate l'intervista completa condotta dall'ottimo Osvlado Migotto.
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La Torre. Storia di una moderna Atlantide

11/7/2019

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Uwe Tellkamp è nato a Dresda nel 1968, è un figlio della DDR, ha servito nella NVA (Nationale Volksarmee) e ho poi terminato i suoi studi in medicina quando il Muro era già crollato. Fino al 2004 ha lavorato come medico a Monaco ma poi ha intrapreso la carriera di scrittore e nel 2008 è uscito in Germania questo suo volume Der Turm, tradotto poi in italiano da Bompiani nel 2012 con il titolo fedele all’originale La Torre. Storia di una moderna Atlantide. Benché in Germania abbia riscosso un grande successo e abbia avuto anche una trasposizione televisiva andata in onda nell’ottobre 2012, in Italia il testo non è particolarmente noto e questo è un grave peccato, perché il libro è sì un romanzo ma è allo stesso tempo uno strumento ineguagliabile per penetrare la realtà storica e soprattutto sociale di quello che fu l’ultimo decennio di vita della DDR.
C’è chi ha paragonato il lavoro di Tellkamp a Musil, a Mann, a Proust io non sono un esperto di letteratura per cui lascio ad altri questi paragoni, ma di certo questo è un testo che lascia un impronta importante e profonda. Due riflessioni preliminari: primo, la scrittura è scorrevole e facilita la lettura pur dedicando ampi spazi a descrizioni minute e precise sia di azioni sia di ambientazioni; secondo, il romanzo è decisamente lungo e benché Bompiani lo classifichi come tascabile le sue 1300 pagine lo rendono poco adatto alle tasche.
La vicenda narra la storia di una famiglia, gli Hoffmann (Richard, Anne e i figli Christian e Robert) e di tutte le persone che per le più svariate ragioni entrano in contatto con loro (parenti, amici, colleghi di lavoro), che vive a Dresda nel quartiere “La torre” da cui il titolo. Dresda non è solo la città natale dell’autore, e quindi un luogo che egli può descrivere minuziosamente perché l’ha vissuta, ma è anche la grande città più a est della DDR, ovvero l’unica grande città tedesco orientale nella quale gli abitanti non potevano ricevere il segnale radio o televisivo dei canali occidentali. Di conseguenza era un luogo dove, nel bene e nel male, la propaganda di stato aveva mano libera e questo elemento torna in alcuni passaggi della narrazione. Ad esempio durante una festa nasce una discussione sul perché nella DDR non ci siano le banane (un vecchio quanto perdurante aneddoto piuttosto famoso riguardo la vita quotidiana nella DDR che non avendo un economia di mercato non poteva importare prodotti esotici): i critici del governo sostengono che non ci siano banane perché non si possono importare visti i prezzi, chi invece è più vicino alla propaganda di regime riporta ciò che legge o sente per cui la motivazione è che il governo ha scoperto che le banane contengono degli elementi nocivi alla salute dei bambini per cui ne ha bloccato l’importazione.
Questo è solo un piccolo esempio di ciò che significa propaganda di regime e vivere immersi in essa e di ciò che il lavoro di Tellkamp è in grado di offrirci: uno sguardo dall’interno della DDR per come la vivevano i suoi cittadini sia quelli più ferventi verso l’ideologia socialista sia quelli, invece, più critici e che si preparavano in tutti i modi a uscire da quella gabbia.
Sono tre i protagonisti principali dell’opera e tutti appartamenti a una classe medio alta di intellettuali, benché queste classificazioni siano un po’ imprecise per la realtà sociale della DDR: Meno, impiegato presso una casa editrice come redattore e quindi anche in contatto con l’intellighenzia della DDR; il giovane Christian che suona il violoncello, legge molto e studia con impegno perché vuole diventare un medico famoso; Richard padre di Christian e fratello di Meno è invece un chirurgo affermato. Sebbene facciano parte di una sorta di élite (anche se non erano membri della burocrazia o del governo) a loro modo ogni protagonista vive sulla propria pelle uno degli aspetti più tetri della DDR. Richard ha una relazione extra-coniugale dalla quale ha avuto una figlia illegittima che visita di nascosto. La Stasi (elemento cardine per la sopravvivenza della DDR e per comprenderne le dinamiche e la realtà) lo viene a sapere e lo ricatta in modo che spii i colleghi. Questa era purtroppo una pratica alquanto diffusa nella DDR con la Stasi impegnata a reclutare tra la popolazione informatori per poter controllare la vita di ogni singolo cittadino. Meno per via del suo lavoro come redattore si trova immerso in una realtà orweliana in cui più di una volta deve censurare le opere che vorrebbe pubblicare e che invece la strettissima censura governativa blocca perché non corrispondenti all’ideologia socialista o perché critiche verso la situazione politica, sociale ed economica della DDR e dei suoi alleati. Christian, per poter essere ammesso alla facoltà di medicina, è costretto ad arruolarsi per tre anni come volontario nell’esercito e a subire terribili umiliazioni.
Così può essere brevemente sintetizzata la trama del romanzo, ma all’interno di questa narrazione si diramano un’infinità di altri personaggi e storie che portano per mano il lettore nel Alltag (la quotidianità) della DDR: dalla condivisione degli appartamenti per via delle politiche comunali, all’assenza di comfort minimi (come il telefono in casa che solo pochi potevano avere); dalle difficoltà di comprare cibo fino alla descrizione minuta degli uffici e della burocrazia enorme e infinita necessaria sia nella vita di tutti i giorni sia per chi voleva emigrare a ovest e quindi veniva sottoposto a interrogatori e discriminazioni (in particolare non gli veniva offerto alcun posto di lavoro). Per questo motivo La Torre introduce il lettore negli anfratti di Dresda così come nei “salotti buoni” e fa assaporare in un certo senso i gusti della DDR parlando della birra così come del cibo, ciò che oggi è parte integrante di quell’Ostalgie che ha colpito alcuni ex cittadini.
Tellkamp scrive indubbiamente un romanzo, e un gran bel romanzo, il quale però è anche uno strumento utile per chi vuole approfondire la, o semplicemente avvicinarsi per la prima volta alla, realtà sociale di ciò che fu la DDR, uno stato ormai fortunatamente scomparso che fece del controllo sociale, della repressione, dell’ideologia e della segregazione della propria popolazione una ragion d’essere e alla fine i soli pilastri su cui si reggeva. Quando con l’estate del 1989 sono iniziate le proteste di massa, non solo nella Germania dell’Est, il sistema si è semplicemente sgretolato sotto l’urto della popolazione in piazza scomparendo dalla storia. Il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 segna la fine definitiva di quel mondo (l’unificazione delle due Germanie con la relativa soppressione della DDR avverrà poi però il 3 ottobre 1990) e segna anche la conclusione del libro.

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Falce e sberleffo

11/5/2019

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Il testo di Ben Lewis, Falce e sberleffo. Una storia del comunismo attraverso la satira. Ovvero: le barzellette che hanno fatto crollare il Muro, Piemme, Milano 2009 è unico nel suo genere: interessante e pieno di contenuti come un saggio, ma scorrevole e piacevole da leggere come il più leggero dei romanzi. Il libro riesce a mantenere questo equilibrio grazie alla scelta estremamente originale del suo autore, creatore di vari approfondimenti per la BBC e altre importanti testate giornalistiche a livello mondiale, che si mette ad analizzare un aspetto talmente banale della quotidianità da risultare ben poco affrontato e in grado di offrire uno sguardo del tutto nuovo a realtà ormai più o meno note: ovvero la satira nelle sue diverse declinazioni barzellette, battute, vignette varie.
Tramite questa chiave di lettura l’autore ci porta a fare un viaggio nella storia dell’Europa dell’Est del XX secolo, infatti il volume parte dalle barzellette su Lenin, per passare a quelle su Stalin al periodo nazista e poi analizza in modo più approfondito quelle relative ai paesi del blocco sovietico dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il testo è da questo punto di vista originale e intrigante, capace di offrire uno sguardo diverso al mondo comunista che fu, ma va letto con un occhio critico, ovvero tenendo presente che quelle barzellette nascevano spesso da situazioni politiche e sociali estremamente difficili, cosa che comunque l’autore non manca mai di fare contestualizzando sempre i suoi argomenti.
Il lavoro di Lewis si apre con una sorta di saggio per inquadrare lo status della ricerca scientifica sul tema delle barzellette e in particolare quelle legate al mondo comunista. Scopriamo così che esiste un sostanziale consenso sul fatto che le barzellette rappresentino un genere letterario proprio diretto contro il comunismo (in paesi repressivi e in assenza di libertà individuali per esprimere la propria opinione le barzellette erano un modo per sviluppare una sorta di contro propaganda o di opposizione al regime) e che gli stati coinvolti cercarono in tutti i modi di contrastare lo sviluppo e la diffusione di queste barzellette. Il testo riporta svariati casi di autori di barzellette, autori satirici di opere teatrali o vignettisti arrestati e condannati ad anni di carcere, ma chi ha visto il film Le vite degli altri si ricorda sicuramente la scena degli agenti della Stasi in mensa che scherzano proprio con una barzelletta salvo poi accorgersi che il superiore di fianco a loro poteva rivelarsi una presenza alquanto pericolosa. Sull’interpretazione però delle barzellette sorge una spaccatura tra una scuola minimalista e una massimalista. La prima sostiene che le barzellette erano un modo di contrastare la propaganda e riaffermare la verità evitando per quanto possibile le strette spire della polizia di stato; la seconda, invece, arriva a sostenere la tesi che le barzellette abbiano contribuito alla caduta dei regimi totalitari e comunisti.
Senza entrare in questa diatriba, limitiamoci a osservare che i numerosi testi che Lewis cita e le 475 pagine del suo libro (che per sua stessa ammissione incorpora solo una parte delle barzellette da lui raccolte perché molte utilizzando giochi di parole intraducibili e altre invece sono doppioni) dimostrano un volume di materiale notevole che meriterebbe forse una maggiore attenzione.
Se riportassimo qui tutte le barzellette rovineremmo la lettura del testo, ma qualche esempio va sicuramente fatto. Per esempio una barzelletta di poco successiva alla Rivoluzione del 1917: “Dopo la Rivoluzione di ottobre Dio invia in Russia tre osservatori: san Luca, san Giorgio e san Pietro. Ciascuno dei tre gli spedisce un telegramma. «Sono finito nella mani della Ceka» Firmato san Luca. «Sono finito nella mani della Ceka» Firmato san Giorgio. «Tutto a posto, me la cavo benissimo». Firmato Petrov, sovraintendente della Ceka”. Una successiva e del periodo del governo di Stalin: “Un uomo si reca nella Piazza Rossa per rendere omaggio a Lenin nel mausoleo a lui dedicato. Mentre si avvicina al corpo imbalsamato del leader della rivoluzione, una guardia gli sussurra «Lenin è morto, ma le sue idee vivranno per sempre». L’uomo sospira: «Se solo fosse il contrario!»”. Come detto il libro presenta anche un interludio sul periodo nazista e un paio di esempi sono particolarmente interessanti. “Hitler sta visitando un manicomio. Mentre passa in rassegna i pazzi, tutti gli fanno il saluto nazista, tutti tranne uno, posto proprio in fondo alla fila. «Perché tu non mi saluti come fanno gli altri?» chiede Hitler. «Mein Führer, io sono un infermiere» ribatte l’interpellato «non sono mica matto»”. Il secondo esempio invece ci riporta alla triste realtà della Germania al termine della guerra attraverso un dialogo tra due tedeschi: “«Dimmi, cosa pensi di fare ora che la guerra è finita?» «Un giro nella Grande Germania» «E nel pomeriggio?»”.
Il testo passa poi ad affrontare la dura realtà del blocco sovietico attraverso i vari Paesi e ovviamente n
on possono mancare le barzellette su Berlino e sul Muro. “Perchè gli abitanti di Berlino Est sono più scemi dei frisoni dell’est? Perché hanno costruito il muro e si sono messi dalla parte sbagliata”. Oppure “Walter Ulbricht, il primo leader comunista della Germania dell’Est, è al ristorante. Una delle cameriere che lo servono gli fa il filo. Ulbricht va in brodo di giuggiole ed esclama: «Sarei lieto di soddisfare un suo desiderio». La ragazza ci pensa un attimo e dice: «Allora apra il Muro, anche solo per un giorno». Con una strizzatina d’occhi, Ulbricht ribatte: «Ho capito: lei vorrebbe restare sola con me»”.
Alcune barzellette invece mettono a nudo con poche parole i problemi cronici sia economici che di libertà individuali presenti nei paesi comunisti. Per esempio questa evidenzia la cruda realtà dell’economia di stato della DDR in cui le file
per acquistare qualunque tipologia di bene erano una costante e in cui spesso non si sapeva nemmeno perché si era in fila “Una casalinga dice a un’altra: «Ho sentito dire che domani ci sarà neve!» «Bene, però per la neve non mi metterò in coda»”. Oppure un’altra barzelletta mette in luce la forte repressione politica attuata dalla Stasi, ma che può essere facilmente riscontrata anche negli altri Paesi. “Mentre è seduto a tavola insieme al figlio, un padre gli chiede: «Come è andata oggi a scuola?” «Oggi abbiamo svolto un tema sul Muro di protezione antifascista» risponde il ragazzino. Qualche giorno dopo il padre chiede al figlio: «Come è andata con il tema, che voto hai preso?» «Ce li hanno riportati oggi e ho preso A+» «Ottimo» commenta il padre. «E i tuoi compagni, che voti hanno preso?» «Non lo so, sono ancora tutti in galera»”. Non mancano nemmeno simpatici parallelismi con le barzellette sui carabinieri italiani: “Perchè i Vopos viaggiano sempre in tre? Uno che sa leggere, uno che sa scrivere e uno che tiene d’occhio quei due intellettuali”. A proposito di DDR non potrebbe mancare un riferimento a un simbolo di quel Paese, la Trabant: “Che cosa c’è nelle ultime 6 pagine del manuale d’uso della Trabant? L’orario dei treni e degli autobus”.
Ci sono poi quelle che uniscono i vari personaggi e i diversi regimi totalitari: “Un uomo si reca all’inferno. Vedendo la diversità delle punizioni inflitte a Hitler e Stalin, chiede al diavolo: «Perchè Hitler è nella merda fino al collo e Stalin solo fino alla cintola?» Il diavolo gli risponde: «Perchè Stalin è in piedi sulle spalle di Lenin»”.
Infine concludiamo con una barzelletta che ci regala un’immagine di ciò che furono i vari regimi comunisti e lo fa ovviamente con ironia. “Tutti conoscono le sette meraviglie del mondo, ma che dire delle sette meraviglie del comunismo?


  1. Nei regimi comunisti non c’è disoccupazione.
  2. Sebbene non ci sia disoccupazione, lavora solo la metà della popolazione.
  3. Sebbene lavori solo la metà della popolazione, i piani quinquennali vengono sempre rispettati.
  4. Sebbene i piani quinquennali vengano sempre rispettati, non c’è mai nulla da comprare.
  5. Sebbene non ci sia mai nulla da comprare, tutti sono felici e contenti.
  6. Sebbene tutti siano felici e contenti, ci sono frequenti dimostrazioni di protesta.
  7. Sebbene ci siano frequenti dimostrazioni di protesta, il governo è sempre rieletto con il 99,9% dei voti”.
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