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Andrea Beccaro

New blog

3/2/2020

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Da qualche settimana ho attivato il mio nuovo sito con il relativo blog dove potete trovare tutti i vecchi contenuti più quelli nuovi che d'ora in poi saranno postati solo lì. Questo è il nuovo indirizzo da segnarvi: www.andreabeccaro.com

This is my old blog, to read my new post please visit my new website: www.andreabeccaro.com
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Terrorism: Tackling the Threat to Italy’s “Exceptionalism”

1/28/2020

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The terrorist attack on London Bridge and the alleged terrorist attack at Pensacola, Florida (USA), late last year have once again demonstrated that jihadism is not dead. Indeed, despite the downscaling of al-Qaeda and the military defeats of the Islamic State, both groups are still active in waging wars on their “distant enemies” in the West. However, it looks as if one large, influential European country has remained free of a successful jihadist terrorist attack: Italy. While academic research has focused its attention on numerous European countries, which have been the target of al-Qaeda and the Islamic State, they have largely neglected the Italian case study. In a recently published paper in Studies in Conflict and Terrorism Stefano Bonino and I shed light on the Italian reality and now we have discussed some of its aspects in a brief article pubished on ISPI website.
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Guerra in Libia

1/13/2020

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ISPI ha pubblicato un Dossier intitolato Guerra in Libia dedicato ai venti di guerra che soffiano in Libia in questi giorni a cui ho contribuito con una riflessione su Haftar, i suoi alleati internazionali e come potrebbero riconfigurarsi le varie situazioni alla luce dell’intervento turco.
Il Dossier si articola in varie riflessioni tutte incentrate sull’analisi dell’attivismo di Ankara e di cosa questo potrebbe comportare per i diversi attori coinvolti e per la Libia stessa. Per esempio, Giampiero Massolo, Presidente ISPI, mette chiaramente in luce le debolezze dell’UE, dell’Italia e della comunità internazionale in genere, incapace di pensare la Politica oltre a vaghe parole d’ordine vuote di significato. Giustamente sottolinea, come fa Valeria Talbot nel suo intervento, che le dinamiche attuali farebbero pensare a una separazione tra Tripolitania e Cirenaica (con il sud desertico pericolosamente fuori controllo).
Federica Saini Fasanotti mette in luce sia come in Libia ci siano più potenze straniere (e le loro armi) che libici sia il fatto che l’intervento turco è di lunga data poiché Erdogan ha iniziato ad appoggiare anche coi fatti, a differenza di Italia e UE, il Governo di Accordo Nazionale (GNA) sin da aprile.
Umberto Profazio, come ho in parte fatto anche io nel mio intervento, mette in chiaro come l’intervento turco vada contestualizzato, ovvero come la creazione di un centro di coordinamento delle operazioni militari e l’invio di un limitato numero di consiglieri (così come la precedente fornitura di droni Bayraktar TB2) appaiano al momento incapaci di ribaltare le sorti del conflitto a favore del GNA di Haftar. È più probabile, invece, che Erdogan voglia produrre una situazione di sostanziale equilibrio, a partire dalla quale poter meglio negoziare la tutela degli interessi turchi, compresi quelli offshore. Infine, Matteo Villa mette in luce come la correlazione tra immigrazione clandestina dalla Libia e intensità del conflitto nel Paese sia fluttuante.
L’instabilità libica resta un problema cruciale per l’Italia perché con un governo che controllasse il suo territorio l’immigrazione clandestina sarebbe bloccata, perché abbiamo interessi economici strategici nel Paese, soprattutto in Tripolitania e ciò dovrebbe far riflettere su come ci approcciamo alla Turchia, perché abbiamo militari dislocati a Misurata verso cui il fronte si è pericolosamente avvicinato in questi giorni.

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Karl Heinzen e le origini del terrorismo contemporaneo

12/17/2019

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Sul numero 3/2019 della Rivista di Politica è uscito un mio doppio contribuito di cui vado particolarmente orgoglioso. Si tratta di un saggio che inquadra la figura di quello che può essere considerato il padre del terrorismo moderno, Karl Heinzen, e della traduzione da me curata del suo saggio Mord und Freiheit, un vero e proprio manifesto politico-strategico. Scritto nel 1853, tradotto in italiano per la prima volta in quest’occasione, il testo è una “giustificazione”, sul piano teorico-operativo, del terrorismo rivoluzionario, per come poi tale fenomeno si sarebbe sviluppato nel corso dei decenni successivi, sino ai giorni nostri. La sua lettura risulta dunque utile per comprendere, nella sua essenza politica e nei suoi obiettivi pratici, anche il terrorismo contemporaneo, incluso quello di matrice religiosa improntato al jihad globale. Sebbene sia stata una figura di secondo piano nell’Europa rivoluzionaria di metà Ottocento, Karl Heinzen (1809-1880) ha esercitato un’influenza politico-culturale per molti versi sotterranea e che ancora aspetta di essere indagata. Lo scritto nasce come denuncia dell’ipocrisia moralistica e ha come punto di partenza un assunto crudamente realista: «Sarebbe una debolezza incomprensibile nascondere dietro romantiche rimostranze il fatto incredibile che l’omicidio, e in particolare l’omicidio di massa, sia stato e continui a essere il principale strumento di sviluppo storico». Per Heinzen omicidio è termine che include tutte le forme di lotta politica armata e violenta: dalla guerra fra Stati, alla guerriglia fino alla rivoluzione. E proprio quest’ultima deve trarre maggior vantaggio dal terrorismo.
Nel mio saggio metto in evidenza alcuni aspetti molto interessanti, ma indubbiamente uno dei più importanti è il ruolo centrale che Heinzen scorge tra sviluppo tecnologico e impiego del terrorismo/efficacia della rivoluzione. Riletto oggi, fuori dallo spirito polemico-dottrinario che lo aveva ispirato, questo testo aiuta a capire la psicologia e la dinamica politico-ideologica che muove il terrorismo.
Non anticipo oltre i contenuti del lavoro perché potete acquistare il numero di Rivista di Politica qui anche in formato digitale.


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Terrorism and Counterterrorism: Italian Exceptionalism and Its Limits

12/11/2019

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I am proud to announce that the article I wrote with the colleague Stefano Bonino titled “Terrorism and Counterterrorism: Italian Exceptionalism and Its Limits” has been published by Studies in Conflict and Terrorism, one of the most important international academic review on terrorism.
The aim of this article is to understand why there has not been a successful jihadist terrorist attack in Italy. While it is impossible to offer a clear and unambiguous explanation, there are some unique aspects of the Italian case that should be emphasized and that can offer a convincing, albeit incomplete, answer to this narrative. The article will first highlight the fact that in Italy there have in fact been some attempted terrorist attacks and that the country has experienced jihadist terrorist activities. Subsequently, the article turns to an exploration of Italian counterterrorism in order to emphasize the most convincing and effective aspects, in particular the role of the legislation and the Antiterrorism Strategic Analysis Committee (CASA). The article finds also evidence of links between illegal immigration and terrorist activities in Italy and in Europe. This is evident, for instance, in the case of Anis Amri, Ahmed Hannachi, Youssef Zaghba, or of the operation Scorpion Fish 2. Then, the article takes a more sociological perspective and analyzes the ways in which the social composition of the Muslim communities in Italy and their presence in its territories have affected the phenomenon of terrorism. In its conclusions, the article will reiterate why the country has remained exceptionally free of a successful terrorist attack, despite not being immune to jihadist propaganda.

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Sir Michael Howard

12/5/2019

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Il 30 novembre scorso, il giorno dopo il suo 97° compleanno, ci ha lasciati Sir Michael Howard uno dei maggiori storici militari del mondo fondatore del Department of War Studies presso il King’s College di Londra, regio professore di storia moderna presso l’Università di Oxford, titolare della cattedra “Robert A. Lovett” di storia militare e navale dell’Università Yale e uno dei padri fondatori di quel campo di ricerca che noi chiamiamo Studi Strategici.
La sua conoscenza del fenomeno bellico è vastissima non solo in termini di studio accademico, ma anche per via della sua esperienza diretta del fenomeno avendo combattuto sul fronte italiano in diverse battaglie, tra cui quella di Montecassino dove è stato insignito della Military Cross.
Il suo apporto allo studio della guerra è stato enorme per vari motivi. In primo luogo, come storico ha ampliato il campo di ricerca della più tradizionale storia militare mettendo in luce come l’elemento sociale sia imprescindibile per la comprensione dei conflitti e delle strutture che li combattono. In questo senso è importante ricordare due aspetti: il suo libro forse più noto, The Franco-Prussian War: The German Invasion of France, 1870–1871, prende proprio in considerazione la diversa composizione degli eserciti come riflesso delle diverse società da cui prendono forma; pensare alla guerra come fenomeno sociale, e quindi politico, lo mette in stretta correlazione con Clausewitz di cui, non casualmente, fu un grande studioso. Infatti, fu lui, insieme all’americano Peter Paret, a curare nel 1977 la traduzione in inglese del Vom Kriege e a permettere quindi una migliore e più accurata conoscenza in ambito inglese del generale prussiano e delle sue riflessioni sulla guerra.
Il secondo motivo dell’importanza di Howard risiede nel suo approccio multidisciplinare allo studio della storia militare e dunque della guerra che lo ha portato a diventare uno dei punti di riferimento per la disciplina degli Studi Strategici.
Qui la conoscenza del fenomeno bellico, della sua natura più che della singola campagna, si combina ad analisi più politologiche per offrire uno studio accurato del lato conflittuale della vita internazionale.
Un ulteriore motivo di importanza è relativo alla sua metodologia, infatti nel
la raccolta di saggi pubblicata con il titolo The Causes of Wars and other essays egli sottolinea come la guerra vada studiata “in width, in depth and in context”. Ovvero studiare come il modo di fare la guerra è cambiato nel corso del tempo per poter distinguere i veri cambiamenti da quelli puramente di superficie; studiare approfonditamente le singole campagne non solo attraverso le storie ufficiali, ma anche con memorie, diari, lettere, letteratura; e infine studiare il contesto, cioè le società che combattono, la loro politica, la loro natura. Insomma, uno sguardo complessivo e approfondito sulla guerra non limitato al campo di battaglia e in grado di offrire un’immagine precisa e articolata del fenomeno più longevo e complesso dell’intera umanità.
D
ata l’importanza dell’autore si potrebbe pensare che la maggior parte delle sue opere siano disponibili anche in traduzione italiana, purtroppo non è così. In italiano è possibile solo leggere, per di più ormai entrambi fuori catalogo: La guerra e le armi nella storia d’Europa, Laterza, che è una storia molto interessante dell’evoluzione della guerra nel quadro della storia europea dalla fine del Medioevo fino al XX secolo, in cui Howard prende in considerazione l’impatto delle innovazioni tecnologiche sullo sviluppo del fenomeno bellico; L’invenzione della pace. Guerre e relazioni internazionali, il Mulino, dove il suo approccio multidisciplinare in cui combina storia militare, politica, e politica internazionale emerge chiaramente.

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Le guerre e la scuola in Italia

11/30/2019

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Qualche giorno fa ho ricevuto l’abituale newsletter dello IAI con gli ultimi articoli pubblicati, è un modo per approfondire tematiche internazionali che non rientrano perfettamente nel mio ambito di ricerca. E nella suddetta mail ho trovato l’articolo di Emmanuela Banfo il cui titolo, “Religione: una Terza Guerra Mondiale fatta di 380 conflitti”, mi ha subito colpito perché la religione, nel quadro dell’attuale geopolitica o dei conflitti moderni, è un tema che tocca da vicino le mie ricerche. La lettura dell’articolo, però, mi ha portato a riflettere in una direzione completamente diversa, perché in un passaggio si cita una ricerca della Caritas secondo la quale su “un campione significativo [della popolazione italiana] intervistato a proposito delle guerre, si evidenzia che gli italiani non sanno quasi nulla: nessuna guerra nel continente africano è conosciuta da più del 3% – fa eccezione quella in Siria, menzionata dal 52%. [...] E ancora più allarmante è che su 1.782 studenti di 58 classi di terza media di 45 istituti sparsi su tutto il territorio nazionale, il 39,3% non è stato in grado di indicare neanche una guerra degli ultimi cinque anni.”
Certamente, per chi come me, si occupa di politica internazionale e di conflitti tutto ciò non è una novità, però il dato è a dir poco allarmante. Come mostrano le foto che trovate in fondo a questo articolo, il nostro Paese, e tutta l’Europa, è circondato da conflitti di vario genere e natura con implicazioni molto diverse fra loro. Siamo dunque uno Stato in prima linea rispetto alla violenza internazionale che può prendere varie forme. Malgrado questa situazione il 40% degli studenti non è in grado di identificare una singola guerra degli ultimi 5 anni, in cui è bene ricordarlo si è combattuto in Afghanistan (dove sono dislocati anche nostri militari), in Libia (Tripoli, Haftar, il problema del flusso irregolare di immigrati non vi ricorda nulla?), Siria (intervento russo, Assad, Afrin, Turchia, non vi suonano?), Iraq (la lotta con lo Stato Islamico mai sentita?Senza dimenticare il recente incidente che ha coinvolto i nostri militari), Ucraina (Russia, Nato?), Mali, Niger, Somalia, Yemen e si potrebbe continuare.
Questo aspetto mette in luce tre elementi. Primo, l’Italia deve affrontare una situazione alquanto instabile a livello internazionale con un sistema di equilibrio che sta conoscendo una forte e profonda ristrutturazione e che di conseguenza condurrà a rivedere alleanze storiche. Come è possibile ripensare il ruolo dell’Italia in tale contesto se la conoscenza di quest’ultimo è pressoché nulla? Secondo, purtroppo i media italiani non aiutano sulle questioni internazionali perché la copertura è nella migliore delle ipotesi scarsa, superficiale ed esclusivamente legata a fatti contingenti, ovvero succede qualcosa, possibilmente di molto grave, allora si fa il servizio altrimenti niente. Inoltre, in questo modo il servizio in questione viene spesso affidato a giornalisti che non conoscono il teatro e il quadro più generale per cui ci si limita a fornire alcune informazioni (quanto poi verificate e veritiere?) sul particolare evento lasciando perdere tutto il resto, ovvero situazione politica, strategica, forze in campo, sponsor internazionali, quadro politico internazionale e regionale, interessi degli attori in campo. Tutti elementi fondamentali per comprendere una situazione, ma che vengono puntualmente dimenticati rendendo quindi la comprensione di una situazione conflittuale del tutto impossibile o puramente superficiale e legata alla contingenza del momento. Questo porta a due conseguenze. Da un lato al cittadino non viene offerto un quadro della situazione e dunque non viene debitamente informato a meno che lui o lei non decida poi di cercare maggiori informazioni (ma chi lo fa? E soprattutto che genere di informazioni può trovare?); dall’altro lato, non viene abituato ad analisi approfondite, ma viene educato a riflessioni superficiali, banali e spesso slegate dalla situazione più generale.
E qui si innesta il terzo problema, messo già ben in luce dai dati dell’articolo di Emanuela Banfo, quello della scuola. Come è possibile che il 40% dei ragazzi non sappia citare un singolo conflitto degli ultimi 5 anni, quando il nostro Paese, come detto, è circondato da forme di violenza armata ed è impiegato in modo diretto in molti di loro (Afghanistan, Iraq, Libia per citare solo i più noti)? Possibile che la scuola abbia abdicato in modo così drammatico il suo compito di istruire ed educare gli studenti insegnando loro anche le forme e nozioni minime e basiche del mondo che ci circonda? La risposta purtroppo è sì e questo è gravissimo perché i giovani di oggi sono la futura classe dirigente e attualmente la scuola non fornisce loro gli strumenti adatti a comprende il mondo, servirebbe rivedere profondamente i programmi e integrarli con approfondimenti specifici diretti sia a studenti che a insegnanti, ma, anche per esperienza personale, manca sia lo volontà (non sempre ma spesso soprattutto su determinati temi) sia i finanziamenti adeguati (sempre).

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Difesa e sicurezza. Prevenire il radicalismo per contrastare il terrorismo

11/29/2019

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Lunedì 2 dicembre sono stato invitato a discutere di radicalizzazione e contrasto al terrorismo nel quadro della conferenza “Difesa e sicurezza. Prevenire il radicalismo per contrastare il terrorismo” organizzata dall’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Contrasto Terrorismo (ReaCT) un tavolo tecnico accademico che si prefigge lo scopo di riunire competenze professionali e operative con la ricerca e lo studio sul campo e che mira dunque a promuovere ricerche attorno al tema del terrorismo.
Nel mio intervento metterò in luce la natura peculiare del terrorismo contemporaneo, e in particolare di ISIS, individuando inoltre quegli elementi che rendono quel gruppo, ma più in generale le milizie islamiche, particolarmente resiliente. Prenderanno parte all’incontro molti membri delle istituzioni, esperti e studiosi, come potete vedere nel programma allegato, e sarà sicuramente un modo proficuo di mettere a confronto diverse professionalità sullo stesso tema. Sarà anche un’occasione importante per avere più punti di vista sia sul tema della radicalizzazione sia su quello della minaccia terroristica.
L'evento ha inoltre il patrocinio del Ministero della Difesa e della Regione Piemonte. Per partecipare serve però iscriversi qui.


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Il Medio Oriente e l'Iran

11/26/2019

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In questi giorni stiamo assistendo a una serie di proteste in vari Paesi ma che hanno un denominatore comune, l'Iran. Fin da ottobre in Libano e in Iraq si sono registrati scontri tra manifestanti e forze di sicurezza che, soprattutto in Iraq, hanno causato più di 300 morti e che rischiano di detabilizzare ulteriormente una regione già instabile. Più recentemente sono scoppiate anche manifestazioni all'interno dell'Iran che inserite in questo quadro regionale danno un'immagine alquanto preoccupante della regione. Il giornale spagnolo La Razon ha chiesto a me e all'amico e collega Stefano Bonino un breve commento su queste situazione. Qui trovate la versione in spagnolo pubblicata sull'edizone cartacea di domenica 24 novembre, mentre qui trovate l'originale in inglese.
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Schelling as Strategic Thinker

11/13/2019

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A month ago I was asked to introduce who I thought of as the most important 20th and 21st century strategic thinker. Answering that question has not been simple, however, I liked my answer and I was proud of it so I decided to write and share it.
The question “who is the most important 20th and 21st century strategic thinker” is a very interesting and complex one that needs a very articulate answer. When I started to think about the answer I realized how rich has been the 20th century in terms of strategic thinker, ideas, and innovations.
My first idea was to opt for one of the several authors who wrote about irregular warfare, insurgency, and guerilla warfare. Lawrence of Arabia, Mao Tse Tung, or one thinker related to the debate on counterinsurgency such as Roger Trinquier or David Galula because all of them have an enduring legacy today in the debate on modern COIN. Then I thought of Liddell Hart and his indirect approach because he stressed both the psychological element of conflict and the fact that in strategy, the longest way round is often the shortest way home.
A third idea was to speak about the air power, mentioning authors such as Giulio Duhet, William Mitchell or John Boyd, because surely the air power was one of the most relevant strategic and military innovations in the 20th century with a huge impact on war and warfare. Then, I was thinking of Bernard Brodie because he was an initial architect of nuclear deterrence strategy, tried to find out the role and value of nuclear weapons and was one of the first strategic thinker to recognize the role and impact of missile.
However, I decided in favour of Thomas Schelling for several reasons. First of all, in contrast to the aforementioned thinkers, he was one of the best academic of his time in fact he was also awarded the 2005 Nobel Prize in Economic Sciences. Even though his works on strategy, conflicts, diplomacy were focused on nuclear strategy and tailored for the cold war, they are timeless.
Schelling broadened the concept of military strategy from the science of military victory to the art of coercion, of intimidation and deterrence. To be coercive or deter another state, violence must be anticipated and avoidable by accommodation. He delved into the notion of conflict not limiting its meaning to the defeat of your opponent. Instead, one must seize opportunities to cooperate. Because only in the rare occasion of a “pure conflict”, are the interests of participants relentlessly opposed. However, cooperation may take many forms, and thus could potentially involve everything from deterrence, limited war, and disarmament to negotiation.
Schelling’s ideas on deterrence, conflicts, and strategy were not only original, but they were, and still are, also crucial to better understand the complexity of war itself. For instance, he did not expect escalation to develop as a result of deliberate steps taken by calculating governments fully aware of the consequences of their actions. On the contrary, “Violence, especially in war, is a confused and uncertain activity, highly unpredictable depending on decisions taken by fallible human beings organized into imperfect governments depending on fallible communications and warning systems and on the untested performance of people and equipment”.
Consequently, Schelling was able to think in a very scientific and systematic way, but he never lost contact with the reality of war. In this aspect he shared a common view with Clausewitz on the nature of war in which human dimension, chance, friction and fog of war play a crucial role and have an unavoidable impact on war, military operations and victory.
Another Schelling’s central idea is that an interplay of motives between adversaries exists and so he stressed the role of communication, understandings, compromise, and restraint. Communication between opponents can take two forms: verbal or written communication is known as “explicit”; action-based communication and involves the use of violence to indicate to an adversary that the costs of not agreeing to an opponent’s political demands will outweigh the costs of concession.
With this ideas, Schelling underlined that war is a reactive environment. Clausewitz explained: “War is not the action of a living force upon a lifeless mass but always a collision of two living forces”. Moreover, Clausewitz described war as a duel and as an interplay of two different wills. Clausewitz and Schelling also share the core idea of escalation because it was the Prussian General who conceptualized war as tending towards absolutes in the framing of the distinction between absolute and limited war. Furthermore, Schelling was aware that, with enough military force, a country may not need to bargain because it can reach its goal using the sole military force because the adversary is too weak to stand. The problem here lies in what enough means, because it depends on the interplay between actors. Enough could be one armoured division against one adversary, but against another adversary an entire nuclear arsenal could not be enough.
Therefore, Schelling was able to link his strategic theory with the historical evolution of military strategy, but also to innovate and broaden it. In his strategic thinking it was always clear the role of politics, as in Clausewitz, so the idea that conflicts are not something else from politics but that they are correlated.
However, the importance of Schelling’s ideas is not limited to those aforementioned, because his idea on deterrence, bargain, on use of coercion and coercive force are now used to explain terrorism and irregular conflicts. This makes Schelling a central strategic thinker even in the new security environment of 21st century.
For example, Neumann and Smith in The Strategy of Terrorism use Schelling’s ideas to describe terrorism and how it works from a strategic point of view. In particular, Schelling thinking on the possibilities of waging “limited war” in the nuclear age facilitates a deeper understanding into the persuasive intentions that govern the rationale behind most forms of terrorism. Schelling drew a distinction between the passive forms of terrorism implied in theories of deterrence, from compellence, by which he meant inducing a person to do something through fear, anxiety and doubt. Without doubt, terrorism is a strategy of compellence. It is aimed at persuading the target to do something in your favour. Moreover, they argue that the credibility of the terrorism’s threat relies on the ability and willingness to escalate. However, the ability to escalate into the extreme is bound by limited resources on the part of the terrorists. The only logical extension of the struggle is to extend the level of indiscrimination.
A second example on how Schelling is central in the 21st century strategic thinking is the concept of “grey zone warfare”  that is a relatively new strategic notion that describes sequences of gradual steps used by revisionist powers to secure strategic leverage. Tools of this strategy are unconventional techniques—from cyberattacks to information campaigns to energy diplomacy. They maneuver in the ambiguous no-man’s-land between peace and war. This is clearly a gradualist strategy closely analogous to the “salami-slicing” strategy discussed in Thomas Schelling’s classic work, Arms and Influence. https://www.amazon.it/Arms-Influence-Thomas-C-Schelling/dp/0300143370 Aggressors can thus use “tactics of erosion,” testing the seriousness of a commitment, pretending the violation was unauthorized if one meets resistance. If the defender fails to respond resolutely, the aggressor has set a precedent, and then moves rapidly on to the next step in the series. The point of such tactics, in Schelling’s model, is very specific: to degrade the credibility of the defender’s deterrent threats. These strategic ideas related to the grey zone warfare are relevant in order to study the strategy and foreign policy of important Westerner competitors such as Russia, China and Iran.
In sum, Schelling developed his strategic thinking during the Cold War and focusing on nuclear weapons and strategy, but at the same time he was able to link his ideas to the broad strategic history remaining valid till today.


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